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Uno scatto d'orgoglio, per riprendere il cammino

19 Novembre, fonte superando.it, Franco Bomprezzi

In qualche modo bisogna reagire. Non riesco, in queste settimane di maggiore presenza a casa, nella mia lunga e non semplice convalescenza, ad accettare il livello sistematicamente distruttivo di qualsiasi programma televisivo che cerchi di raccontare e affrontare i tanti guai del nostro Paese.
I disastri ambientali, le periferie urlanti, le tensioni in piazza, le sceneggiate nelle aule parlamentari, tutto un minestrone indistinto che contribuisce ad alimentare un disagio, una nausea, un rifiuto del presente e del futuro, in una parola, l’eclissi della speranza.
Raramente vedo analogo impegno mediatico a cercare chi possa raccontare soluzioni praticabili, anche tecnicamente, per affrontare correttamente uno qualsiasi di questi problemi. Eppure le competenze esistono, dalle università alla rete delle associazioni, dai tecnici onesti (che pure ci sono) ai divulgatori non faziosi. Anche all’interno della politica è evidente che vengono interpellate quasi sempre le persone più aduse alla polemica, all’invettiva, allo sfascio. Il quadro che ne esce è desolante e sicuramente contribuisce a quel degrado della coesione sociale che è un pericolo tremendo per chiunque, da sempre, si batte riformisticamente e banalmente nel tentativo di fare la propria parte per risolvere un pezzetto alla volta.

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La retorica della guerra tra i poveri

14 Novembre, fonte "il manifesto", Anna Maria Rivera

Razzismo e periferie. Dilaga la caccia, simbolica o reale, ai capri espiatori di sempre: rom e sinti, migranti e rifugiati. Il paradigma Roma

Dilaga ormai in Ita­lia la cac­cia, sim­bo­lica o reale, ai capri espia­tori di sem­pre: rom e sinti, migranti e rifu­giati. Pur variando luo­ghi e per­so­naggi, comune è lo schema nar­ra­tivo, aval­lato anche da quo­ti­diani main­stream. A giu­sti­fi­care o smi­nuire la vio­lenza dei «resi­denti» e dei «cit­ta­dini comuni» si pro­pa­lano spesso leg­gende e false noti­zie, spac­ciate come vere anche da organi di stampa prestigiosi.

Ciò che è acca­duto nella bor­gata romana di Tor Sapienza costi­tui­sce un pre­ce­dente assai grave. Mi rife­ri­sco allo svuo­ta­mento for­zoso, a furor di assalti raz­zi­sti, del Cen­tro di acco­glienza che ospi­tava abi­tual­mente i più vul­ne­ra­bili tra i rifu­giati, soprat­tutto minori. I faci­no­rosi che, incap­puc­ciati e al grido di «bru­cia­moli tutti!», a più riprese hanno attac­cato il Cen­tro, con lanci di pie­tre e petardi, per alcuni giorni sono stati rap­pre­sen­tati, anche dalla grande stampa, come poveri «cit­ta­dini esasperati».

E le dice­rie a pro­po­sito di scippi e aggres­sioni subite, ten­tati stu­pri — dei quali non v’è trac­cia di prova né denunce for­mali — sono state pun­tual­mente riprese senza alcuna verifica.

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Quei 50 studenti rapiti e uccisi perché si opponevano ai narcos

fonte corriere.it

Un corpo in strada. Il volto scuoiato. È il cadavere di Julio Mondragón, 19 anni. Un giovane studente che aveva cercato di scappare dagli aguzzini, ma lo hanno ripreso e ucciso usando il cadavere come ammonimento. Julio è una delle vittime della strage di Iguala, Stato messicano di Guerrero. Decine di studenti fatti sparire da una banda composta da poliziotti locali e narcos.

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Rubata la scritta «Arbeit Macht Frei» di Dachau: FARABUTTI!

2 Novembre, fonte lastampa.it

“Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi” è la macabra scritta che, al loro arrivo, accoglieva i deportati nei campi di concentramento. E’ rimasto uno dei simboli più atroci del genocidio nazista e dell’ipocrisia delle gerarchie hitleriane, che assassinarono milioni di persone spacciando i luoghi di sterminio per campi di lavoro. Qualcuno, la scorsa notte, ha rubato la scritta da Dachau, dal primo campo costruito nel 1933 in Baviera: i ladri si sono portati via l’intero cancello d’ingresso, il personale che sorveglia il memoriale se n’è accorto stamattina.  

La direttrice del memoriale, Gabriele Hammermann, ha parlato di un “salto di qualità della cultura della profanazione”, il direttore della fondazione dei memoriali bavaresi, Karl Frellerm, di “atto orribile”. Il politico Csu ha spiegato che Dachau non è dotata di sistemi di video sorveglianza, ma che ci sono controlli 24 ore su 24 da parte del personale di sicurezza. Il ministero dell’Interno è stato immediatamente informato del furto.  

Circa cinque anni fa un furto identico era stato commesso nel campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia. I ladri erano stati catturati tre giorni dopo: il cancello con la scritta “Arbeit macht frei” era stato segato in più parti e sepolto in un bosco. Nel 2010 l’organizzatore del furto era stato arrestato in Svezia. 

Il cancello con la scritta fu aggiunto tre anni dopo la costruzione di Dachau, nel 1936: ogni giorno i prigionieri del campo lo varcavano più volte. “E’ diventato il simbolo del percorso di dolore inflitto ai prigionieri” ha commentato Hammermann. Nei dodici anni dalla costruzione alla fine della guerra, 41.500 persone morirono a Dachau.  

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