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Lettera a Renzi da un nobel per l’insegnamento

3 gennaio, fonte http://www.controlacrisi.org/

Gent.mo pre­si­dente Renzi, mi chiamo Daniele Manni, sono un docente di Lecce, inna­mo­rato e appas­sio­nato del pro­prio ruolo (non rie­sco a chia­marlo lavoro) e, pare, sono fra i 50 fina­li­sti al mondo can­di­dati al titolo inter­na­zio­nale di “Pre­mio Nobel” per l’Insegnamento, il Glo­bal Tea­cher Prize della Var­key Gems Foun­da­tion.

In Europa siamo solo in nove e due in Ita­lia (quasi il 30%), anche se so per­fet­ta­mente di essere solo stato for­tu­nato per­ché c’è stato qual­cuno che si è preso la briga di segna­lare il mio ope­rato alla Fon­da­zione, quindi, die­tro que­sta punta di ice­berg, sono certo si nascon­dono cen­ti­naia di col­le­ghi altret­tanto meri­te­voli di que­sto titolo, i quali lavo­rano, spe­ri­men­tano e inno­vano ogni giorno, nel silen­zio delle loro aule, fianco a fianco con i loro for­tu­nati studenti.

Ho deciso di scri­verle per­ché oggi sono “qual­cuno” e que­sto mio quarto d’ora di noto­rietà durerà appena un mese, fino a quando non diverrò un banale «ex» fina­li­sta e le mie parole avranno certo un peso diverso.

Cosa le chiedo?

Niente di più di quanto lei non stia ripe­tendo negli ultimi giorni, ossia più con­si­de­ra­zione in Ita­lia per la pro­fes­sione docente, più «ritmo» nella scuola. Solo che, oltre ad ascol­tare e ad apprez­zare i suoi nobili intenti, mi pia­ce­rebbe che in que­sto nuovo anno vedes­simo azioni con­crete, un po’ come fac­ciamo noi bravi inse­gnanti “da Nobel” con i nostri alunni, agendo e creando risul­tati e non solo annun­ciando cam­bia­mento e innovazione.

Di azioni con­crete per riqua­li­fi­care il nostro ruolo nella società ita­liana me ne ven­gono in mente due.

La prima, a rischio di sem­brare banale, è quella di ren­dere sem­pli­ce­mente «digni­toso» lo sti­pen­dio che ci viene rico­no­sciuto, per­ché oggi, digni­toso, non lo è affatto. Se, pur essendo i peg­gio pagati e rice­vendo poca o nulla stima dalla società civile, rice­viamo lode e atten­zione inter­na­zio­nale e la nostra opera quo­ti­diana rende la scuola ita­liana una delle «isti­tu­zioni» più apprez­zate dalla cit­ta­di­nanza (al terzo posto, dopo papa Fran­ce­sco e le forze dell’ordine), chiedo a Lei e al governo che rap­pre­senta, cosa potrebbe essere la Scuola ita­liana se il corpo docente rice­vesse più cre­dito e dignità?

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Chi ci vuole schiavi, ci vuole anche indifferenti

1 gennaio, fonte articolo21.org Flavio Lotti

Forse schiavi lo siamo anche noi. Schiavi delle cose che rincorriamo tutti i giorni. Schiavi di una vita frenetica che ci lascia sempre insoddisfatti. Schiavi dei soldi che non ci bastano mai. Schiavi di un lavoro che non abbiamo o che ci rende la vita impossibile. E ancora, schiavi delle nostre ansie e delle nostre paure, dei luoghi comuni e dei pregiudizi. In occasione della giornata mondiale della pace, Papa Francesco ci chiede di mobilitarci contro la schiavitù che si va diffondendo nel mondo. Ma per cogliere il senso profondo di questo appello dobbiamo partire da noi. Ci sono tante forme di schiavitù, alcune più estreme e violente di altre, alcune più manifeste altre più occulte, alcune più vicine altre più lontane. Ma tutte interrogano la nostra vita e il nostro rapporto con gli altri.

La schiavitù è anche un problema nostro. La vita che conduciamo è libera solo in apparenza perché tutti i giorni ci muoviamo entro uno spazio fortemente limitato da mille fattori che forse non abbiamo scelto “liberamente” ma che abbiamo sicuramente accettato. Pensiamo alle condizioni di sottomissione e sfruttamento in cui ci hanno ridotto il predominio del denaro e la divinizzazione dei mercati, “la dittatura di un’economia senza volto”, la legge della competizione selvaggia e della corruzione, della speculazione finanziaria e dell’individualismo. Pensiamo a ciò che impedisce la nostra piena realizzazione e condiziona pesantemente le nostre relazioni con gli altri.

Chi ci vuole schiavi, ci vuole anche soldati, individualisti, insensibili e indifferenti. Non è per caso che siamo sempre sul piede di guerra e ci curiamo sempre meno delle sorti di chi sta peggio, che vive lontano o che verrà dopo di noi.
Noi non reggiamo più questa vita così come il mondo non può più reggersi sulla legge del più forte, dello sfruttamento della vita e della persona umana, dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna, dell’uomo sulla natura e sull’ambiente. Così ci stiamo autodistruggendo. Prenderne coscienza è importante. Costa fatica, mette paura ma induce all’azione e apre la strada al cambiamento.

La lotta contro la schiavitù moderna è la lotta per il futuro, perché noi tutti possiamo goderne uno, libero e dignitoso. A partire da tutti quei bambini e quelle bambine, quelle donne e quegli uomini che continuano ad essere violentati, venduti, sfruttati senza pietà.

La lotta contro la schiavitù comincia da noi e dall’impegno che metteremo per liberarci dalle catene invisibili che ci portiamo addosso. Riscoprire la nostra umanità, rinnovare i rapporti interpersonali e trasformare le relazioni sociali: questo è il compito che ci attende se non vogliamo più essere vittime e complici del sistema che ci rende schiavi. E’ il passaggio dall’età del consumismo, dell’individualismo e dell’indifferenza all’età della fraternità che dobbiamo forzare. Il 2015 sarà un anno importante. Dovremo prendere molte decisioni difficili e imparare ad “agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Facciamo in modo che sia un passaggio di libertà.

 

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Ma un parco non è fatto di alberi e prati?

fonte articolotre.com

di Sergio Calzone

In Italia (ma forse anche in altri Paesi), in occasione di grandi eventi, si riescono a realizzare iniziative magari già bocciate in precedenzama che, a quel punto, vengono presentate come “funzionali a”.

Un caso interessante è quello lanciato dall’assessore alla Cultura e Turismo del Comune di Torino, Maurizio Braccialarghe: egli, il 12 dicembre 2014, ha annunciato che, in vista di Expo 2015, Torino si doterà, come Parigi e Londra, di una ruota panoramica alta 48 metri e che tale “attrazione” sarà collocata al Valentino, per poi essere spostata, due anni dopo, nel parco di Italia ’61.

Salta immediatamente all’occhio la stringente congruità di una ruota panoramica alta come un palazzo di 16 piani con il tema dell’Expo, che è l’alimentazione. Salta inoltre all’occhio come non soltanto Parigi e Londra abbiano di queste ruote, ma anche ibaracconi di Carnevale, quelli dell’Oktoberfest di Monaco di Baviera e le varie Disneyland sparse per i continenti.

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Disabilità psichica: Federica e Francesco, mamma e figlio abbandonati dallo Stato

2 Dicembre, fonte ilfattoquotidiano.it, Toni Nocchetti (Presidente Associazione "Tutti a scuola onlus", medico)

Domani si celebrerà la Giornata Internazionale dei Diritti dei Disabili. A che punto sia giunta l’assistenza al disagio psichico nel nostro Paese la terribile lettera che segue lo testimonia a pieno. Il racconto di una madre con un figlio in difficoltà, la drammatica ricerca dalla Lombardia alla Campania di un posto dove si possa vivere, pesano come macigni e reclamano una risposta dalle istituzioni.
Ho ritenuto utile pubblicare integralmente la lettera perché tutti quelli che nelle prossime ore spenderanno fiumi di parole sulle buone prassi (che esistono ma sono largamente minoritarie), mantengano chiaro il principio che, finché ci sarà una storia come questa in Italia, nessuno può considerare esaurite le proprie responsabilità. La lettera contiene giudizi e commenti che vanno ovviamente letti come lo sfogo di una donna che si sente ed è abbandonata da tutti. L’augurio che rivolgo a tutti gli “esperti” della disabilità che si esprimeranno in questi giorni è quello di confrontarsi innanzitutto con la vita di Francesco e di sua madre Federica. O di  tacere

 

Chi scrive è una madre indignata e, a dir poco, disperata. Abbandonata e tradita (anzi, fregata) da coloro che avrebbero dovuto farsi carico delle cure di mio figlio Francesco (oggi 23enne), disabile psichico con seri disturbi comportamentali. Mi riferisco ai medici del Centro di Salute Mentale di competenza distrettuale del (famigerato) quartiere napoletano diPonticelli, dove vivo.

I problemi di Francesco si sono evidenziati con prepotenza quando lui aveva 16 anni. Non mi vedeva più come una madre ma come una “donna”. Mi accarezzava in modo sensuale e tentava ripetutamente di farsi mettere le mie mani sui suoi genitali. Successivamente è caduto preda di allucinazioni uditive e visive. Vedeva persone inesistenti e sentiva voci che gli ordinavano di eseguire determinate cose, tra le quali gettare oggetti (anche mobili) dal balcone, picchiare il primo a tiro… me compresa!

Ci sono voluti ben due Tso (Trattamento Sanitario Obbligatorio) di urgenza affinché il dipartimento di salute mentale prendesse in carico il paziente. Lo psichiatra capì che la situazione era delicata (e di estrema pericolosità) e così decretò che il ragazzo non poteva più restare tra le mura di casa poiché erano proprio le condizioni ambientali a determinare quelle allucinazioni che scatenavano la furia.
Con non poca difficoltà Francesco fu inserito nel 2010 presso un istituto specializzato di Cortona dove non solo si rasserenò, ma veniva impegnato in attività ludiche, lavorative e di socializzazione. Era totalmente cambiato. Era vigile e comunicativo e gli episodi di aggressività si erano limitatiparecchio. Anch’io ritrovai la mia serenità ritornando a svolgere con continuità il mio lavoro.

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