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Non ti cambierei con altri bimbi

10 Gennaio, fonte L'Arena 

Caro piccolo mio, è passato un anno dalla tua nascita e in quest'anno è successo tutto ed il contrario di tutto. Per prima cosa io e la tua mamma dobbiamo chiederti scusa... scusa per non aver festeggiato il giorno della tua nascita, scusa per i cattivi pensieri che ci hanno balenato in testa in quei primi giorni di ospedale, scusa per non aver dato risalto e comunicato, con la dovuta gioia, la tua nascita ai parenti. Ricordo ancora la tristezza con cui la comunicavo telefonicamente a tutti. Il giorno della tua nascita doveva essere un giorno di gioia, quella gioia mista a orgoglio che ogni genitore dovrebbe provare guardando il nascituro. Nel tuo caso, figlio mio, quella gioia non c'è stata. Ero fuori dalla sala parto e subito, visto l'andirivieni di medici, ho capito che qualcosa non andava. Mi hanno chiamato all'interno ed il personale, in modo gentile ma professionale, ti ha mostrato ai miei occhi ed è li che ho incrociato il tuo volto e per la prima volta ho visto i tuoi occhi a mandorla, le spalle e il collo largo, ma quasi inesistente, e quel nasino schiacciato e piccolo. L'infermiera e il medico, con gentilezza e tatto, mi hanno comunicato la tua patologia: «Trisomia 21» o sindrome di Down. Il mondo è caduto!! Ma come, noi ti mettiamo al mondo e aspettiamo la tua nascita e tu ci dai il benvenuto con questa cosa?? Le prime domande che mi sono posto sono state: cosa ne farò di te? Cosa ne farai della tua vita? Cosa ne sarà di te ed egoisticamente cosa di noi? Chi lo dice adesso alla tua mamma che sarà di là, in sala parto, aspettando di stringere al petto il desiderato figlio perfetto?Hai fatto questa sorpresa a noi, che per te avevamo progetti a lungo termine, e che tu hai osato rovinare. La mamma ha avuto una bellissima gravidanza, che tutti definirebbero serena e tranquilla, nessun segno, nessun sintomo e nessuna anomalia risultava dagli esami fatti e dalle ecografie.

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Disabili, quando la scuola lascia indietro un bambino

8 Gennaio, fonte ilfattoquotidiano.it  Toni Nocchetti

Il dialogo tra la compagna di classe e la madre del piccolo N., alunno autistico di 12 anni non ha alcun significato per molti.

Quelle poche battute non rappresentano una prova scientifica e nemmeno un indizio di colpevolezza nei confronti della scuola che accoglie N. e la sua compagna.

Da sole le parole ci raccontano di un bambino che non frequenta la classe alla quale è destinato e nient’altro.

Se si ha la pazienza di ascoltare i genitori di N. e della trascorsa esperienza felice nella scuola primaria con il figlio disabile impegnato come presentatore in una recita di fine anno si ha la sensazione che oggi qualcosa non va come dovrebbe andare nella scuola media Fucini- Roncalli di Gragnano (Na) .

Il racconto di un bambino “segregato” per ore dinanzi ad un pc che manda in continuazione le stesse immagini di un film e le richieste, fin troppo garbate ma mai rassegnate, della famiglia di incontrare il dirigente e gli insegnanti di loro figlio trasmettono a chi le ascolta un senso di nausea e di rabbia.

Tutto il resto dagli esposti al direttore dell’ufficio scolastico regionale della Campania o quello alla polizia di stato rappresentano un rituale che decine di migliaia di famiglie italiane disperate compiono ormai da anni.

Se si ha adesso la pazienza di rileggere il testo di quei sintetici sms le parole “ma in classe non viene” diventano macigni ingombranti, troppo ingombranti per un Paese che ha messo al bando nel 1977 le classi differenziali e che ha un governo che parla di buona scuola ai quattro venti.

Quella buona scuola il piccolo N. non sa proprio cosa sia.

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RIBELLARSI E' GIUSTO

2 Gennaio, fonte donataalbiero.blogspot.it/ Donata Albiero

IL MALE PEGGIORE DEL NOSTRO TEMPO E’ L’NDIFFERENZA

                                             

Il malcontento è indistinto, abbondante e diffuso… anzi, generalizzato.  
La tendenza culturale dominante, sottolinea Alain Goussot docente di pedagogia speciale Università di Bologna, nella società e anche nel mondo della scuola è quella di sottolineare le negatività, quello che non va e soprattutto di pensare che non possiamo fare nulla e cambiare nulla. L’essere spettatori, consumatori sfrenati e ansiosi perché con sempre meno risorse a disposizione porta ad un atteggiamento rassegnato, di chi subisce quello che sembra un destino ineluttabile
 
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I mille tentativi che faranno la differenza

22 Dicembre, fonte superando.it, Silvia Lisena

Noria Nalli, che cura il blogLa stampella di Cenerentola su «La Stampa.it», ha recentemente pubblicato un articolo dove smentisce una notizia circolata tempo fa e relativa all’ingaggio della modella curvy Clémentine Desseaux come testimonial del rossetto Louboutin [per “curvy” si intendono donne che si sentono a proprio agio con forme prorompenti e non con il fisico classico “da modella”, N.d.R.]. «La Louboutin mi aveva mandato il rossetto da provare, in qualità di blogger ed io ho realizzato un video, tra l’altro molto carino, che ho pubblicato sulla pagina social della griffe. A loro è piaciuto e l’hanno condiviso. Non è successo altro», ha scritto la modella attraverso la sua pagina Facebook alla stessa Nalli.

L’articolo della Stampella di Cenerentola, però, ha un tono tutt’altro che negativo, a partire dal titolo (Il mondo della moda non avrà più barriere), fino ad arrivare alla frase emblematica «Non era ancora il momento giusto». Nalli pone l’accento sul fattore della tempistica, evidentemente sbagliata, che non ha favorito quella spinta verso una maggiore apertura mentale che abbracciasse la concezione che sì, anche una modella curvy sarebbe potuta essere la testimonial di un rossetto.

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Ma le chiese non sono di tutti?

15 Dicembre, fonte superando.it, Marina Scappaticci *

Il 5 ottobre scorso mi sono sposata nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Vaccheria di Caserta e per l’occasione avevo invitato al matrimonio una mia cara amica che da dieci anni è in carrozzina. Per avere accesso alla chiesa di Vaccheria, però, ci sono cinque scalini, difficili da superare per chi non ha l’utilizzo dei propri arti inferiori.
Già durante il primo colloquio intercorso con il parroco don Vincenzo Aveta, avevo esposto la “mia” necessità: rendere, almeno per un giorno, accessibile la chiesa. In quell’occasione mi era stato risposto che prima avrei dovuto accertarmi di avere l’esigenza dell’accessibilità e che poi, eventualmente, si sarebbe provveduto a far salire la persona “a mano”, in quanto l’abbattimento delle barriere architettoniche avrebbe rovinato l’estetica del Santuario.

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