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Siamo di fronte a una "epidemia" di autismo ?

27 Aprile, fonte Corriere della Sera, Raffaele Napoli

Potrebbe sembrare un luogo comune, ma per i genitori di un ragazzo autistico esiste una sola domanda che torna con insistenza ogni giorno: «Cosa ne sarà di nostro figlio quando non ci saremo più?». Un problema per il quale al momento non sembra esserci una soluzione, così come nell'opinione pubblica non pare esserci una piena consapevolezza dei costi economici e sociali legati a questa patologia. In occasione della giornata mondiale dell'autismo, celebrata il 2 aprile scorso sono stati molti i progetti e le iniziative realizzate nelle più importanti città italiane. Noi abbiamo voluto inquadrare il problema non solo dal punto di vista clinico, ma anche rispetto alle moltissime difficoltà e agli ostacoli che migliaia di famiglie devono affrontare ogni giorno. «Per parlare di autismo spiega lo psicologo e psicoterapeuta Giovanni Ippolito si deve prima capire che esistono diverse espressioni sintomatologiche che oggi sono state accorpate nella diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

Negli ultimi anni si è assistito a un incremento delle stime di prevalenza tanto marcato da aver fatto parlare di una sorta di "epidemia di autismo". La questione è in realtà molto complessa, ed è importante sapere che sono diversi i criteri da tenere in considerazione per una diagnosi corretta. Un passo importante in questo senso lo si è fatto con l'aggiornamento del criterio internazionale diagnostico». In sostanza la diagnosi di autismo viene solitamente formulata facendo riferimento alle due principali classificazioni internazionali dei disturbi mentali: il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) detto Dsm e l'International Classification of Diseases (Classificazione Internazionale dei Disturbi e delle Malattie) o più semplicemente Icd dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. Fino alla penultima edizione del Dsm le due classificazioni coincidevano sostanzialmente nei criteri diagnostici per l'autismo, mentre con il Dms-V (Apa, 2013) sono stati introdotti numerosi cambiamenti, per cui i criteri diagnostici per l'autismo ora si differenziano in maniera consistente rispetto a quelli dell'ultima versione.

In altre parole, spiega Ippolito «i parametri che devono coesistere affinché possa esserci una diagnosi di autismo sono due: deficit persistente della comunicazione e dell'interazione sociale e interessi ristretti. Questo è importante affinché si faccia la stessa diagnosi in presenza degli stessi sintomi». Ma a quanti anni si può avere una diagnosi? «Prima si diceva entro i primi tre anni di vita, oggi si parla di prima infanzia. Questo perché molti genitori raccontano di uno sviluppo che inizialmente sembrava normale, sino ad arrivare ad un vero e proprio black out. Una caratteristica che spiega anche le voci che girano sulla possibilità che i vaccini siano pericolosi». E va detto che la questione vaccini continua ad essere molto discussa. Giovanni Ippolito ad esempio non si sbilancia, la sua personale idea è che «ci siano ancora molte pagine da scrivere su questo tema.

La questione è complessa - aggiunge, - io ho avuto qualche remora a vaccinare le mie figlie; poi però ho scelto di farlo, perché i rischi, se ce ne sono, sono certamente molto meno dei vantaggi». Al di là delle opinioni di ciascuno, un dato certo è che per i bambini con disturbi dello spettro autistico è fondamentale iniziare quanto prima una terapia cognitivo-comportamentale. E anche se dall'autismo non si guarisce, si possono avere significativi miglioramenti. «Si possono raggiungere grandi traguardi conclude lo psicologo pugliese -, il mese scorso a Napoli si sono ritrovati 110 bambini con autismo, una giornata di sport organizzata dalla Cooperativa Tma Group del dottor Giovanni Caputo insieme al dottor Luigi Sentenza e alla Federazione italiana sport e disabilità intellettiva relazionale. I ragazzi sono stati fantastici, hanno saputo comprendere il senso della gara, l'attesa, l'importanza del risultato e del rispettare le regole». Ma anche attività semplici come praticare uno sport o un gruppo di animazione, a causa delle tante carenze territoriali, possono diventare ostacoli insormontabili.

Talvolta anche solo frequentare la scuola diventa impossibile e, come spiega Carlo Giacobini, tra i fondatori della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap e direttore di Handylex.org, «essere esclusi da un percorso scolastico comporta ricadute molto pesanti. Per questi ragazzi l'inclusione è vitale». E qui ci si scontra con le moltissime falle che esistono a livello normativo e organizzativo. Spesso, ad esempio, le scuole non sono in grado di accogliere adeguatamente persone con autismo. Eppure, già dal 1975, in Italia si è stabilito che le persone con disabilità non devono seguire percorsi differenziati. «Lo sforzo di tutte le associazioni in quest'ultimo ventennio prosegue Giacobini - è stato quello di insistere per garantire un'inclusione di qualità nei percorsi ordinari di studio». Naturalmente generalizzare è sempre un errore, in alcune realtà l'inclusione scolastica non solo è possibile ma è anche molto efficace. Tuttavia, finita la scuola dell'obbligo, per tutte le famiglie, e in particolare per quelle che devono combattere con un autismo a basso funzionamento, inizia un vero e proprio calvario. I familiari sono spesso infatti tutto ciò che resta a questi ragazzi, e altrettanto di frequente il pubblico non riesce a garantire alcun tipo di assistenza, di supporto, di sollievo, di percorsi personalizzati.

«Il più delle volte aggiunge Giacobini ad impoverirsi (non solo economicamente) è l'intero nucleo familiare, si crea una sorta di reciproca dipendenza assistenziale. Tanto che per alcune famiglie il regalo più grande è avere una settimana di tregua, poter dormire almeno una notte». Giacobini non è il solo a pensare che si dovrebbe riconoscere e sostenere, e presto, la figura e il ruolo dei "caregivers". «In Italia conclude siamo ancora molto indietro da questo punto di vista, così come siamo indietro sul problema del "dopo di noi".

Questa è una questione che i genitori, comprensibilmente, vivono con grande ansia. Ecco perché è fondamentale arrivare presto ad una legge sul "dopo di noi". Alla Commissione Affari sociali della Camera è all'esame un testo che ha necessità di emendamenti e correzioni, ma che certamente porta finalmente il tema anche nel dibattito politico. Ma vogliamo che le soluzioni adottate non siano quelle della segregazione o degli istituti, o delle comunità, ma quelle della reale inclusione nella comunità di riferimento anche quando mancasse il sostegno familiare».

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