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Autistici 365 giorni all'anno

Ho letto con attenzione, su Superando, l’intervento di Stefania Stellino ("Al centro, quel giorno, sono state le Persone con autismo"), presidente di Angsa Lazio, a proposito dell’ultimo articolo di Rosa Mauro. Confesso che mi sentirei molto più a mio agio se dovessi inserirmi in un dibattito che muove da un mio articolo… Sarà questa la ragione per la quale mi limiterò, in questo caso, a pochissime osservazioni.

Trovo che banalizzare un ragionamento articolato come quello di Rosa (cito testualmente: “estremamente riduttivo nel riassumere la giornata del 2 Aprile vissuta insieme al presidente della repubblica Sergio Mattarella”), non renda affatto giustizia ai protagonisti della vicenda: a Rosa innanzitutto (madre di un soggetto autistico), a Sergio Mattarella (di cui non possiamo che sottolineare e apprezzare l’attenzione rivolta ai problemi dell’autismo e più in generale alla condizione degli Ultimi), alla stessa Stefania (che sicuramente è un genitore encomiabile, coraggioso ed impegnato, al pari però di chi a Roma il 2 Aprile non c’era, magari perché, abbandonato dallo Stato, non poteva staccarsi dal proprio figlio. Familiari, ne sono sicuro, abituati come Stefania a mangiare trecentosessantacinque giorni all’anno “pane e autismo”, che avrebbero potuto testimoniare al nostro Presidente la loro drammatica realtà in modo altrettanto efficace (e pazienza per qualche congiuntivo sbagliato) di quanto hanno fatto gli autorevolissimo relatori citati dalla Stellino.

Soffermarsi su una frase, estrapolandola da un ragionamento molto più complesso, rischia, non infrequentemente, di illuminare aspetti secondari i e spegnere (viceversa) l’attenzione e la riflessione su sollecitazioni e argomentazioni che sarebbe riduttivo classificare come marginali. Se allora è giusto non dimenticare il significato simbolico del 2 Aprile(a proposito: stupendi Nicole e Giacomo) può anche, e deve esserlo, una volta superata l’enfasi, provare a rispondere, per esempio, a una domanda di Rosa, che è parte di quel ragionamento complessivo di cui parlavo prima: “Che succede quando un ragazzo con autismo o con disabilità relazionale si trova in una famiglia che non ha le risorse necessarie a sostenerlo, mentali, materiali o anche fisiche (perché mica stiamo tutti bene per sempre…)? E cosa rispondere a Rosa Mauro quando aggiunge: “Mi piacerebbe capire chi sceglie quali siano i casi gravi, quali persone debbano arrivare in una struttura e soprattutto basandosi su quali criteri. Sappiamo bene, infatti, che a volte una persona con autismo può sembrare grave e poco gestibile, agli occhi di chi non conosce bene la sindrome, e gli operatori del settore restituiscono spesso un’immagine molto più legata a una preparazione non specifica che realistica della persona con autismo, al punto da indurre gli specialisti ad un uso e abuso delle sostanze farmacologiche. È quasi superfluo ricordare che gli effetti collaterali di tali sostanze possono ostacolare gravemente l’acquisizione e il mantenimento delle competenze, impedendo molto spesso un inserimento sociale e lavorativo”?

Io credo che chi ha voglia di riflettere sul serio di autismo debba sforzarsi di concentrasi (anche) su questi aspetti dell’articolo, che non mi pare invece siano stati adeguatamente segnalati. Non sarà troppo fine la schematizzazione ma il rischio, altrimenti, è che ci si concenti sul fumo dei “nonni” più che sull’arrosto della realtà dei nostri figli, sul dito insomma - anziché sulla luna.

Se scegliessi (io) di essere provocatorio potrei aggiungere, riprendendo il titolo dell’articolo, che non ci può bastare che “Al centro, quel giorno, sono state le Persone con Autismo”. Vorremmo, evidentemente, che ciò avvenisse anche quando le luci dei Palazzi della politica si sono spente. E dico questo per antica esperienza, avendo vissuto molti 2 Aprile e avendo ahimè potuto verificare che a partire dal giorno dopo spesso la politica mette il campo il contrario di quanto “solennemente” promesso!

Ultima considerazione, questa volta personale. Nella mia lettera – documento, inviata a Mattarella, Renzi e papa Francesco, ho scelto di proposito di adottare uno stile colloquiale. Le ragioni sono due: da una parte mi è parso più comprensibile e vicino a coloro i quali mi ispiro (famiglie che, come me, vivono l’autismo ogni giorno da svariate decine di anni) e dall’altra non mi vergogno di ammettere pubblicamente che non ho mai avuto l’abitudine di presentarmi davanti alle istituzioni con il vestito della festa e il cappello in mano.

Può legittimamente non piacere (ci mancherebbe altro…), ma io, iscritto da molti anni alla stessa associazione di Sefania Stellino, ho preferito, in questo caso, rivolgermi alle Istituzioni attraverso un linguaggio diretto (e Dio solo sa quanto, in particolare in un caso, avrei volentieri usato un altro modo d'esprimermi), diverso da quello ovattato e così incline alla cosiddetta correttezza istituzionale (quanto mi piacerebbe che le istituzioni fossero “concretamente” corrette nel rispetto dei diritti dei nostri figli…).

Ci sono mediocri anchorman televisivi che nei loro salotti felpati possano, per esempio, rivolgersi tranquillamente al “caro Matteo”, grottescamente addobbato alla Fonzie. Perché stupirsi se a farlo è un uomo di sessantacinque anni (presto sessantasei) padre di una persona autistica di trentaquattro (presto trentacinque)?

Un abbraccio e mille auguri, cara Stefania. [G. V.]

 

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