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Il bambino autistico «recluso» a scuola. Vietata la visita in Vaticano

Troppo spesso si pensa che scolarizzare significhi banalmente e semplicemente accedere a quella che molti chiamano (impropriamente?) "scuola di tutti"... Con tutta evidenza non è così: la scolarizzazione non può essere confusa con il semplice inserimento in una classe ma richiede, quale elemento nobile e qualificante, una integrazione vera, intesa come percorso che consenta a chi è affetto da questa grave disabilità  di vivere esperiene significative sia nell'apprendere cche nel socializzare.

Nella mia lunga esperienza di insegnante, se è vero che non sono mancate esperienze positive nel rapporto che ho visto instaurarsi con allievi affetti da disturbi cognitivo comportamentali, è altrettanto vero che non di rado ho avuto la sensazione che essi siano più "sopportati" che supportati e talvolta rappresentino (sottolineo "talvolta") più che altro una risorsa occupazionale.

Discorso troppo lungo per essere sintetizzato in poche righe: chissà  che non valga la pena riprenderlo.., anche per rispetto alla maggioranza degli insegnanti di cui vanno apprezzati, invece, l'impegno lodevole e i proficui risultati. 

La mia personale convinzione, lo ricordo agli amanti dei cosiddetti "diritti esigibili", è che la risposta delle famiglie non sia il ricorso al TAR (per quanto in alcuni casi inevitabile), ma la rivendicazione di una corretta indispensabile (e obbligatoria) formazione, che consenta ai docenti, a tutti i docenti e non solo a quelli di sostegno, di comprendere bene cos'è l'autismo. Fronteggiare quest'ultimo, infatti, richiede tecniche ed approci che non si improvvisano ma si acquisiscono (solo) attraverso una irrinunciabile formazione e un corretto aggiornamento in itinere. In alternativa si potranno anche vincere i ricorsi al TAR ma... ma il giorno dopo tutto rischia di essere come prima!

La storia che segue, segnalata da un genitore (che ringrazio e invito, come tutti, a intervenire) mi sembra emblematica di questa dura realtà [G. V.]

21 Febbraio, fonte corriere.it

A Valmontone ormai la chiamano così: «La stanza del silenzio degli innocenti». E’ quella in cui Christian, che ha 11 anni ed è autistico, trascorre le sue giornate di scuola, nella elementare del paese alle porte di Roma. L’insegnante di sostegno ha paura di lui. In classe con gli altri non lo fanno stare perché disturba. E la psicologa della Asl ha chiesto e ottenuto di avere per lui questa stanzetta riservata: «Durante i Glh (gruppo lavoro handicap) – ha raccontato la mamma al Redattore sociale – mi ha detto che per Christian deve essere così, almeno per il momento. Lo tengono lontano dai suoi compagni per tutto il giorno, riportandolo in classe solo a ricreazione. Finché andava a scuola a Ostia, prima all’asilo poi alle elementari, era ben integrato: passava tutto il tempo in classe, con l’insegnante e l’educatrice. Per un paio d’ore al giorno, aveva accanto a sé anche il terapista Aba privato. Solo quando aveva una crisi, l’insegnante lo portava fuori qualche minuto: nel laboratorio d’informatica, o nell’aula video, o in giardino. Appena si calmava, rientrava in classe. Da quando ci siamo trasferiti all’istituto S. Anna, due anni fa, la scuola è diventata una tragedia». Giornate da solo con educatrice e insegnante di sostegno, niente visita al Vaticano a maggio quando la sua classe andrà a Roma. Mi hanno già detto che è meglio se resta a casa perché potrebbe fare confusione».

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