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Sindrome di Rett

Questa è l'introduzione dell'articolo di Michele Beccaria, uscita sull'inserto "Tuttoscienze", de "La Stampa", l'11/6/2014. Il titolo è "Mille luci in diretta: i miei viaggi nel cervello e la voglia di guarirlo".

«Quando lo metti sotto il microscopio a due fotoni, scopri che stai osservando costellazioni di cellule luminosissime». 

 

Gian Michele Ratto, fisico di formazione ed esploratore dei territori della biologia, racconta che spettacolo sia osservare un cervello in attività, anche se è quello - ingiustamente sottovalutato dai profani - di un topolino da laboratorio, dal Dna manipolato. Le differenze con il nostro non sono poi così abissali e le scintille generate con una molecola fluorescente rappresentano una strada per accedere alle circonvoluzioni degli umani e iniziare a capire i meccanismi di molte malattie, come quella - terribile - che si chiama sindrome di Rett. «Il nostro rappresenta un primo passo, ma necessario, per sperare in una cura per tanti bambini». 

La storia di questa ricerca non è affatto conclusa ed è la mancanza di un finale già scritto a rendere tutto più coinvolgente. Il luogo è un laboratorio d’avanguardia, il «Nest» di Pisa - acronimo di «National Enterprise for nanoScience and nanoTechnology» - in cui interagiscono le competenze della Scuola Normale Superiore, dell’Istituto italiano di tecnologia e dell’Istituto Nanoscienze del Cnr. I protagonisti sono Ratto, ricercatore di quest’ultimo ente, con i suoi collaboratori e studenti, mentre tra i personaggi principali ci sono alcuni topolini e a recitare nel cameo è una medusa, la Victoria aequorea. Quanto alle scene madri, sono proprio quelle cerebrali le più spettacolari, là dove le osservazioni dei segnali di luce si intrecciano con misurazioni tanto complesse quanto snervanti. 

«E’ da quattro anni che inseguiamo l’obiettivo e ormai siamo vicini», dice Ratto, che oggi sarà protagonista di uno degli incontri della serie «Virtual immersions in science», organizzati dalla Normale per svelare quante emozioni e quanta creatività ci siano accanto alla classica razionalità degli scienziati. «C’erano dei momenti in cui disperavo». Ma da un po’ gli incubi notturni si sono placati e l’entusiasmo del team va al massimo. «Stiamo imparando a fare le misure, misure che nessuno prima di noi ha fatto, in un cervello in vivo». 

Ratto ha avuto l’idea di utilizzare una molecola fluorescente, ricavata dalla medusa e scoperta proprio al «Nest». In gergo si tratta di una molecola geneticamente modificata, «addestrata» per uno scopo preciso. Dopo averla fatta produrre dalle cellule cerebrali di un topolino attraverso un gene manipolato, è in grado di emettere un segnale luminoso che «porta all’esterno due tipi di informazione molto importanti: i livelli di pH, vale a dire l’acidità, e quelli di cloro nei neuroni». 

Fondamentali per il team sono i messaggi contenuti in una sostanza così elementare come il cloro. Quando nei neuroni sale a concentrazioni troppo alte, il sistema inibitorio del cervello tende ad andare in tilt, lasciando mano libera all’altro sistema, quello eccitatorio, e induce così uno squilibrio che assomiglia molto alle crisi epilettiche. Nei topolini - e si pensa nell’uomo - i giusti livelli si stabilizzano solo durante le prime fasi dello sviluppo, da cuccioli, purché qualche anomalia - per esempio genetica - non si manifesti, mandando in frantumi la fragile architettura dualistica ideata dalla Natura e con la quale si dosano senza sosta colpi di acceleratore e altri di freno. In questo caso le conseguenze sono gravi: l’ipotesi più accreditata è che sia coinvolta non solo l’epilessia. Anche patologie come l’autismo, la sindrome dell’X fragile e la sindrome di Down sono associate a errori nello sviluppo della regolazione del cloro. Ma a Pisa si ipotizza che una situazione simile possa verificarsi anche nella sindrome di Rett: in questa malattia avviene un blocco dello sviluppo nei primi anni di vita, seguito da una sconvolgente regressione, che fa perdere le abilità già acquisite, come la capacità di camminare e il controllo del linguaggio. 

Ecco perché riuscire a calcolare con precisione infinitesimale le quantità di cloro diventa così importante. Ma la misura si è rivelata difficile: i cambiamenti di cloro e di pH, infatti, sono «codificati» dal colore della proteina e il problema con il quale il gruppo di Ratto si è scontrato è che il tessuto cerebrale modifica il colore stesso: «Avviene una distorsione cromatica come quando si guarda un paesaggio sottomarino. La proteina che abbiamo progettato cambia continuamente, a volte perfino di topolino in topolino». E’ stata quindi necessaria un’ulteriore idea: associare una seconda proteina che permettesse di evidenziare tutte le metamorfosi della tinta. Come uno spettatore che osserva una serie di oggetti salire e scendere dalle profondità del mare, sorprendendosi delle loro trasformazioni e poi decifrandole, così Ratto si sta finalmente avvicinando alla meta: capire i tempi esatti con i quali il cloro si stabilizza e consolida il sistema inibitorio del cervello. 

Grazie alla collaborazione inconsapevole della medusa e dei topolini - spiega - si potranno trasferire i dati ottenuti dall’analisi dei modelli genetici di molte malattie neurologiche a noi umani e la speranza - un giorno non troppo lontano - è portare alla luce tutti i meccanismi in gioco, quelli standard e quelli alterati. Se un primo finale si intravede all’orizzonte, con la preparazione di un articolo su una rivista scientifica, altre storie possibili prendono forma. «Adesso la mia grande curiosità - aggiunge Ratto - è proprio scoprire se la sindrome di Rett sia legata a un’alterazione dei livelli di cloro durante lo sviluppo. Non è ancora detto che sia così, ma dobbiamo scoprirlo». 

Il fisico-biologo si prende una breve pausa nel racconto della sua avventura di confine tra discipline diverse e ringrazia la fondazione Telethon, «senza i cui finanziamenti sarebbe stato difficile arrivare fin qui». La ricerca, infatti, si alimenta di intelligenza come di fondi e si sviluppa lungo vaste reti di possibilità e perfino di casualità. Ed è così il cloro riemerge sulla scena. «Esistono diversi farmaci che modificano la sua regolazione e che sono ben sperimentati e ben tollerati: si tratta dei diuretici. Se si avesse la conferma che la patologia è accompagnata o favorita dagli scompensi di questa sostanza, allora avremmo a disposizione un nuovo bersaglio terapeutico. L’individuazione del meccanismo, di fatto, si traduce in un’opzione di cura». Tradotto in parole più semplici: «Ripescare farmaci già esistenti e trovare utilizzi che in origine non avevano: ecco la risposta più veloce che si possa immaginare per affrontare una malattia». 

E’ la prova, questa, che non c’è un finale predeterminato. Le sorprese sono continue e richiedono cervelli più che pronti, in cui le costellazioni di cellule sono spinte al limite delle prestazioni. «Non esagero a dire che i nostri studenti sono tra i migliori d’Italia. A loro chiediamo sia un background in fisica sia uno in biologia, con salti di paradigma scientifico davvero impegnativi. Ed è una ragione per la quale i tassi di insuccesso sono elevati. Ma quelli che ce la fanno ti sfidano in ogni momento. Non hanno pietà ed è giusto che non l’abbiano». E quando si affaccia l’ultima domanda - «trovano sempre lavoro?» - la risposta suona, purtroppo, scontata: «Sì. Ma quasi mai in Italia». 

 

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