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GLI INSEGNANTI DI SOSTEGNO NELLA SCUOLA PUBBLICA

Fonte http://www.articolotre.com

Dal 1977, cioè da quando la legge prevede l’integrazione nel sistema scolastico dei disabili, dopo aver abolito le classi differenziali, è nata una nuova figura di insegnante, l’insegnante di sostegno, che allora veniva chiamato anche di “appoggio”.

Inizialmente furono istituiti dei corsi di specializzazione ma limitati e con un numero ristretto di partecipanti, per cui vi fu una pesante carenza di docenti nelle scuole dove erano inseriti i disabili. Talvolta quindi vennero assegnati al sostegno i docenti senza posto di lavoro, i supplenti giovani i quali non erano in grado di fare fronte ai problemi che quotidianamente si presentavano. Spesso accettavano la cattedra (per avere un reddito stabile) anche coloro che non erano mai entrati in un’aula, coloro che si sentivano a disagio, turbati a contatto di un portatore di handicap, causando situazioni imbarazzanti per la scuola e penose per i ragazzi. Col tempo vennero nominati molti altri docenti specializzati, riuscendo a “coprire” molte delle esigenze delle scuole. Ma, malgrado i corsi, malgrado i docenti abbiano scelto consapevolmente questo lavoro, il problema del sostegno non è stato risolto ancora oggi in modo ottimale.

Qual è il problema? La qualità degli interventi sulla classe e sull’alunno.

Di fatto molti insegnanti di sostegno, pur avendo acquisito la specializzazione, spesso credono che fare lezione ad un disabile consista nel far “trascorrere” il tempo in classe, o fuori dall’aula senza alcun intervento educativo o culturale. Poiché l’alunno frequentemente non è in grado di porre critiche e di rifiutare un trattamento da “oggetto”, prima che qualcuno si accorga dell’inutilità della presenza del docente, si arriva a fine anno scolastico.  

 

I Dirigenti scolastici, in genere, nominano un responsabile, anche egli docente di sostegno, che dovrebbe verificare le varie situazioni in modo oggettivo, ma spesso ciò non accade perché egli stesso è nelle condizioni del collega e tende a mantenere i privilegi (orario a piacere, nessun compito da correggere a casa, non preparare le lezioni).

Qual è la funzione di un buon insegnante di sostegno? Riuscire ad integrare nella classe e nella scuola il disabile, incrementandone o facendo nascere abilità che egli non sapeva di avere, attraverso l’educazione e la conoscenza.

E per far ciò possiamo dare degli input ai docenti di sostegno.

·         Il loro primo compito consiste quindi nel predisporre un orario adatto all’alunno, concordandolo con i docenti del Consiglio di Classe e, per correttezza, con i genitori.

Facciamo un esempio semplice; ad inizio anno si redigono gli orari di tutti i docenti. L’insegnante di sostegno dovrebbe, a quel punto, compilare il proprio orario in base all’orario di classe ma soprattutto in base alle esigenze degli alunni; se un ragazzo ha disabilità fisiche sarà opportuno che venga assistito nelle ore in cui occorre avere capacità motorie, manuali etc… ; se invece l’alunno ha problemi cognitivi sarà opportuno che venga sostenuto particolarmente in materie che implichino l’uso della capacità di comprensione e della memoria. Ciò comporta spesso  che un  orario valido per i ragazzi corrisponde ad un orario scomodo per i docenti, con molte “ore buche”, cioè ore in cui il docente è in scuola aspettando la sua ora di lezione. (Occorre sapere che le ore di sostegno assegnate agli alunni variano dalle 4,5 settimanali alle 18 per i casi più gravi.)

Ebbene, purtroppo e molto spesso, si assiste ad una formazione dell’orario che contempla esclusivamente le comodità del docente, con delle assurdità per cui accade che un ragazzo fisicamente normodotato venga sostenuto durante le ore di educazione fisica e non nelle ore di matematica di cui ha più bisogno. Ovviamente è facile addurre false motivazioni che giustifichino certe scelte, e, se i genitori non sono educatori o esperti di didattica, nessuno contesterà queste scelte. 

·         E’ loro dovere primario “preparare” la classe all’inserimento del disabile, e viceversa, studiando bene le strategie per favorire l’integrazione e quindi un rapporto di collaborazione con i compagni. E’ fondamentale che in classe vengano affrontati argomenti che possano far conoscere le varie situazioni suscitando simpatia ed empatia tra gli alunni. Se l’inserimento viene curato con attenzione è facile che il percorso scolastico sia migliore e proficuo per tutti i componenti.

·         Devono comprendere inoltre quali abilità caratterizzano il disabile e anche gli altri ragazzi, per comporre gruppi di lavoro efficaci, e valorizzarli.

·         E’ importante che preparino compiti personalizzati, a livello dell’alunno, da fare a casa su argomenti comuni ai compagni e schede di lavoro o progetti di attività da realizzare a scuola con i compagni.

·         Ovviamente dovranno dedicare del tempo (fuori dall’orario scolastico) a correggere questi elaborati.

·         Spetterebbe loro inoltre preparare le lezioni da svolgere in classe, in parallelo alla docente curriculare, e programmare le attività considerando le caratteristiche dell’alunno; vi sono ragazzi incapaci di seguire seduti, fermi  cinque o sei ore di lezione frontale per cui occorre un programma vario, che preveda spostamenti che consenta loro movimento ed attività manuali o di ricerca, a dimostrazione dello studio teorico, che ne stimoli l’interesse.

·         Contrariamente a ciò che spesso avviene, soprattutto nella scuola primaria, l’integrazione degli alunni disabili deve avvenire facendoli partecipare prevalentemente alle attività in e di classe, tranne per quelle specifiche programmate, in cui essi possono venire estrapolati, possibilmente con un piccolo gruppo di compagni.

·         Sarebbe opportuno che ricordassero di essere stati nominati per il sostegno alla classe, in cui è inserito il disabile, non solo al disabile e quindi di dover far parte del Consiglio di Classe a tutti gli effetti e interessarsi di tutti gli alunni.

·         E’ necessario che insegnino l’uso di strumenti compensativi, diversi a seconda della disabilità, che possano aiutare nello studio e nella comprensione (vedi strumenti digitali, particolari software o altri materiali).

·         E’ importante inoltre che abbiano sempre presente che l’alunno può portare con sé, e così anche i genitori, tanta sofferenza per la sua situazione di “diverso” e quindi è indispensabile trovare un modo di interloquire corretto, inducendo serenità e suscitando  fiducia.

Gli insegnanti che hanno avuto esperienze di docenza con i disabili per un certo numero di anni dovrebbero tornare all’insegnamento curriculare al gruppo classe perché, se si svolge con passione e dedizione questo lavoro per troppo tempo, si rischia di perdere l’energia necessaria, la spinta a provare sempre nuove metodologie per arrivare allo scopo, per ricercare nuovi percorsi; il docente può giungere ad un impoverimento personale delle proprie capacità, dovendo sempre facilitare, semplificare, ridurre i concetti   e, per stanchezza psicologica, ad una conseguente riduzione dell’empatia. Del resto gli insegnanti curriculari, con esperienza di sostegno, sono sicuramente facilitati nell’insegnare alla classe, che è disomogenea nei suoi componenti.

Occorre che tutti i docenti abbiano sempre presente che solo in un clima sereno e collaborativo sarà possibile portare questi ragazzi al superamento delle difficoltà e ad un futuro il più possibile indipendente.

Alla fine dell’anno scolastico sarà grande la stanchezza ma anche la soddisfazione nel vedere sbocciare delle speranze!

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