PR.I.S.M.A.

Progetto per l'Integrazione Scolastica dei Minori Autistici

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NOTA INTRODUTTIVA

È risaputo, anche se non sempre adeguatamente riconosciuto, che i primi esperti delle problematiche delle disabilità sono i genitori. Questo documento ne costituisce un’ulteriore conferma.

Certamente c’è stata nella realizzazione del lavoro una collaborazione ed un contributo significativi da parte degli “addetti ai lavori” (ASL, uffici comunali e provinciali) ma a chiunque leggerà il testo non potrà sfuggire la competenza, la scientificità con cui l’autore, che è prima di tutto un papà ed un insegnante, ha affrontato l’argomento.

Argomento non facile non solo per la complessità della patologia ma anche per la varietà di approcci e metodologie d’intervento che negli ultimi anni sono state elaborate, sostenute - e talora si sono tra loro combattute - sulla scena mondiale.

Questo proliferare di proposte con il loro seguito di speranze, attese, talora illusioni, finisce per tradursi per i genitori e gli insegnanti in confusione e frustrazione.

Ben venga, quindi, un testo che nella sua brevità cerca di dare sul problema alcune indicazioni generali, chiare e scientificamente fondate.

Si tratta di un testo che riteniamo possa essere di particolare utilità per i docenti delle nostre scuole impegnati, spesso senza un’adeguata formazione di partenza, a confrontarsi con problematiche complesse che richiedono esperienza approfondita, competenze professionali e flessibilità d’intervento.

Il sistema scolastico italiano, pur offrendo occasioni importanti di socializzazione e di educazione alla tolleranza verso la diversità, ha difficoltà strutturali e strumentali che rendono di difficile realizzazione il diritto-dovere all’istruzione dei bambini e dei ragazzi diversamente abili.

Ciò è particolarmente vero quando si tratta di disturbi, come l’autismo ed i disturbi pervasivi dello sviluppo, per i quali la buona volontà di un inserimento senza strumenti didattici, organizzativi, strutturali specifici, non può bastare.

Risposte speciali non è uguale a segregazione come spesso si è pensato, al contrario la segregazione si crea quando nelle situazioni aperte, come la scuola, manca la padronanza di strategie educative specifiche rispondenti a bisogni educativi peculiari e individuali.

Compito degli Enti Locali è sostenere la progettualità delle scuole, contribuire a porre le condizioni per un’integrazione reale; le possibilità di riuscita sono molto collegate alla possibilità di un lavoro sinergico tra tutti i partner coinvolti nell’azione educativa. 

Lo spirito collaborativo tra l’Associazione Angsa, le ASL., il Comune e la Provincia che ha caratterizzato la stesura e la produzione di questo testo ci sembrano un segnale positivo in questa direzione.

 

Santina Vinciguerra - Assessore al Sistema educativo e alle Politiche di Pari opportunità 

Umberto D'Ottavio - Assessore all’Istruzione, Formazione Professionale ed Edilizia Scolastica

 


PRESENTAZIONE

I bambini e gli adolescenti con disturbi dello spettro autistico hanno in comune difficoltà nelle aree dell’interazione sociale e della comunicazione, comportamenti ripetitivi e stereotipati e peculiari modalità d’apprendimento.

Pur accomunati da queste caratteristiche gli alunni con disturbi dello spettro autistico rappresentano un gruppo molto eterogeneo. Le sindromi presenti all’interno della categoria dei disturbi dello spettro autistico (o dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo, come sono definiti dalle principali Classificazioni Internazionali) sono accomunate dalla presenza della sintomatologia descritta in precedenza; vengono suddivise in Disturbo Autistico, Disturbo disintegrativo della fanciullezza, Disturbo di Rett, Disturbo di Asperger e Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non altrimenti specificato, una categoria diagnostica quest’ultima a cui si ricorre quando non sono soddisfatti tutti i criteri per quelle precedenti, ma si é in presenza di alterazioni nelle aree dell’interazione sociale della comunicazione e del comportamento. La categoria delle “psicosi infantili”, usata in passato, oggi viene fatta confluire all’interno dei disturbi pervasivi dello sviluppo.

Oltre che per questa eterogeneità sindromica, gli alunni con disturbi dello spettro autistico possono essere molto diversi tra loro nel funzionamento cognitivo, nel modo di comunicare e di interagire con gli altri. Ci sono, infatti, da un lato, alunni che presentano un grave ritardo intellettivo: non parlano, comprendono poco il linguaggio e sono dipendenti dall’adulto in quasi tutte le aree del comportamento adattivo; dall’altro, alunni intelligenti, con buona proprietà di linguaggio e autonomi in diverse aree del comportamento adattivo. Tra questi due estremi vi possono essere diverse “sfumature” dello spettro autistico. 

Questa eterogeneità rende indispensabile un’attenta valutazione del singolo alunno e una progettazione altamente individualizzata. Queste due azioni (valutazione e progettazione individualizzata) richiedono la collaborazione di almeno tre attori che la Legge 104/92 individua come centrali per l’integrazione scolastica: la scuola, la famiglia, i servizi socio-sanitari. Un riferimento necessario per questi attori é rappresentato dalle metodologie di valutazione e intervento educativo che la ricerca scientifica ha validato negli ultimi 20-30 anni.

Queste metodologie rappresentano strumenti operativi che devono essere innanzitutto conosciuti e, in secondo luogo, contestualizzati tenendo conto delle esigenze del singolo alunno e di quelle della classe. 

Il Progetto P.R.I.S.M.A. presentato in questa pubblicazione rappresenta un primo tentativo di mettere “nero su bianco” linee di indirizzo per l’integrazione scolastica dell’alunno con disturbi dello spettro autistico. Questo documento é stato costruito e condiviso, a partire da una iniziale proposta del Professor Gianfranco Vitale, da una rete formata da famiglie, servizi educativi e sanitari. Ha inoltre avuto un sostegno attivo da parte delle Istituzioni, e in modo particolare dal Comune e della Provincia di Torino. Come sanitari coinvolti in misure differenti e con ruoli diversi nel percorso di diagnosi e presa in carico integrata dei soggetti con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo, abbiamo condiviso con piacere e soddisfazione questi passi che costituiscono una nuova concreta esperienza di lavoro “in rete” tra le varie entità coinvolte. 

La rete formata dalle famiglie, scuole e servizi, che si é attivata per la definizione di questo progetto è la stessa che riteniamo essenziale si attivi per favorire il diritto all’educazione e l’integrazione scolastica dell’alunno con un disturbo dello spettro autistico.

Auspichiamo che questo documento possa essere un concreto strumento di supporto e di riferimento ed un punto di partenza per favorire sempre più la diffusione nella scuola di “buone pratiche educative” fondate sulle evidenze della ricerca scientifica.

 

Giuseppe Maurizio Arduino – S.C. di Psicologia, A.S.L. 16  Mondovì-Ceva

Franco Fioretto – S.C. di NPI, A.S.L. 16 Mondovì-Ceva

Marina Gandione – Dipartimento di NPI, Università di Torino

Giovanni Geninatti Neni – S.C. di NPI A.S.L. 1 Torino, Presidio Sanitario San Camillo di Torino

Orazio Pirro – S.C. di NPI, A.S.L. 1 Torino

Federico Villare – Presidio Sanitario San Camillo di Torino

 


PREMESSA

È indubbio che negli ultimi trent’anni vi siano stati sensibili miglioramenti nell’ambito dell’inserimento scolastico delle persone disabili. Esistevano, per esempio, le classi differenziali e la cosiddetta “anormalità” era – di fatto - ghettizzata all’interno di corsi speciali che non garantivano nessuna forma di integrazione e accrescevano, semmai, il senso di marginalità e di isolamento per il fatto stesso di essere dei percorsi così distaccati da tutto il resto della scuola.

Negli ultimi anni la novità sta principalmente nella proposta di integrazione dei disabili all’interno di gruppi classe, e nella scelta di progetti che coinvolgono la classe nel suo insieme, pur con dei percorsi didattici modulati sulle difficoltà maggiori che presentano alcuni ragazzi.

Si è presa definitivamente coscienza di quanto la scuola rappresenti una tappa di primaria importanza nella vita di ogni uomo, al di là della sua specificità, del suo eventuale stato di non abilità o disabilità, pur se non va mai dimenticata la notevole differenza che intercorre tra termini come “inserimento” e “integrazione”. In questo senso appare superficiale, e soprattutto sbagliato, attribuire alla locuzione “scolarizzare” il significato di mero accesso. Ciò che deve essere perseguita, in effetti, è l’integrazione al più alto livello, da intendersi come percorso la cui finalità prioritaria è la maturazione di esperienze significative sia nell’apprendere che nel socializzare.

Le nostre classi accolgono tutti i minori senza alcuna distinzione di disabilità. A guardare, per esempio, i dati del 2000/2001 si osserva che complessivamente gli alunni certificati in condizione di handicap, dalle materne alle superiori, sono stati 129.154, cioè l’1,56% del totale. Si tratta di un processo in costante crescita, del quale è giusto rimarcare l’enorme significato.

Diventa interessante dimensionare, a livello nazionale, il fenomeno autismo e sindromi collegate, comprendendo in questa casistica anche le situazioni caratterizzate da psicosi infantile, stanti le diverse classificazioni afferenti tali diagnosi.

  


NOTE SULL’AUTISMO

Le patologie dello spettro autistico determinano gravi disabilità sul versante sociale e permangono per tutta la vita.

All’interno di questa categoria diagnostica si trovano soggetti molto diversi tra loro, con gradi di disabilità sociale e cognitiva estremamente diversificati. Si va, infatti, da un estremo in cui prevale la componente deficitaria collegata a un ritardo mentale grave, spesso associato a disturbi neurologici (primo, tra tutti, l’epilessia), ad un altro limite, in cui la sintomatologia assume i caratteri più vicini al disturbo della personalità, con livelli intellettivi nella norma e talora persino anche superiori.

Anche le capacità comunicative sono estremamente variabili, con soggetti privi di linguaggio e grave deficit di comprensione ed altri con buone capacità. L’alterazione sempre presente, in misura maggiore o minore, è quella relativa all’interazione sociale.

L'Autismo è considerato dalla Comunità scientifica Internazionale come “Disturbo dello Sviluppo”, che mina con diversa intensità e in differenti aree cognitive la naturale crescita del bambino.

Colpisce in misura di 10 – 20 casi per ogni 10.000 bambini nati. Di autismo non si guarisce, tuttavia le esperienze ventennali in altri Paesi, suffragate da studi scientifici, dimostrano che un trattamento precoce e intensivo basato sull'approccio psico‑educativo, diventa lo strumento privilegiato per restituire ai bambini con autismo il diritto a un’esistenza migliore.

Sono state messe a punto specifiche linee guida per l’intervento educativo che vanno considerate come il riferimento più aggiornato anche per quanto riguarda gli interventi in ambito scolastico (si veda in proposito il documento Educating Children with Autism del National Research Council degli Stati Uniti).

  


DIMENSIONI DEL PROBLEMA SCUOLA-AUTISMO

Con riferimento all’anno scolastico 2001‑2002, i bambini diagnosticati autistici o psicotici nelle scuole pubbliche italiane, in base alle rilevazioni dei CSA, tratte dalle diagnosi ufficiali dei Servizi Sanitari, sono stati complessivamente 8.062: 140 casi circa per milione di abitanti. Scorporando questo dato si può affermare che in 64 casi/milione si è in presenza di diagnosi di autismo e in 75/milione si è, invece, di fronte a una diagnosi di psicosi infantile.

 

DIAGNOSI DI AUTISMO E PSICOSI INFANTILE (DATI CSA 2001-2002)

 

Diagnosi di autismo

Scuola materna

21/milione di abitanti (1.220 bambini certificati autistici)

Scuola elementare

22/milione di abitanti (1.276 bambini certificati autistici)

Scuola media

15/milione di abitanti (870 bambini certificati autistici)

Scuola secondaria superiore

7/milione di abitanti (406 bambini certificati autistici)

Diagnosi di psicosi infantile

Scuola materna

20/milione di abitanti (1.160 bambini certificati autistici)

Scuola elementare

20/milione di abitanti (1.158 bambini certificati autistici)

Scuola media

19/milione di abitanti (1.102 bambini certificati autistici)

Scuola secondaria superiore

16/milione di abitanti (928 bambini certificati autistici)

 

Come si desume facilmente da una prima stima dei dati in tabella i valori numerici rispettivi, di autistici e psicotici, sono pressoché coincidenti: omogenei in partenza (scuole materne), si discostano successivamente per effetto della sensibile diminuzione del numero degli allievi autistici frequentanti la scuola secondaria superiore. Ciò segnala, indubbiamente, una carente qualità dell’integrazione scolastica, tanto più che rispetto ai quadri patologici di insieme questi dati sono in ogni caso sottostimati, tenuto conto che non comprendono – per esempio - i casi con altre patologie.

Da qui prende avvio un’analisi che si propone, fra l’altro, di comprendere la relazione ad oggi esistente tra gli alunni autistici e gli insegnanti di sostegno operanti nella scuola italiana, che nel 2004 sono stati, complessivamente, circa 81.000 a fronte di 160.000 alunni certificati in situazione di handicap.


L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

Le situazioni connesse all’autismo sono molteplici e vanno affrontate, di volta in volta, come dinamiche differenti, in un’ottica di specificità. È giusto attendersi risposte complesse da problematiche composite, quali certamente sono quelle che appartengono alla suddetta patologia.

Consapevoli di questo si tratta di comprendere che programmare l’integrazione richiede la definizione di un contesto in cui tutti divengano interpreti, in una dimensione sinergica, di uno stesso progetto. Ciascuno è chiamato ad impegnarsi, per quanto gli compete, all’interno del proprio ruolo, in una connessione stretta e continua con gli altri soggetti, allo scopo di portare avanti un lavoro comune, evitando sovrapposizioni e interferenze che possono rivelarsi inutili e persino dannose.

Le Linee Guida Nazionali della Società Italiana di Neuropsichiatria Infantile (SINPIA) sottolineano la necessità di definire in modo dettagliato e in anticipo: a) i contenuti dell’intervento, che deve comprendere attività individualizzate costruite sulla base della valutazione del bambino ; b) le modalità di strutturazione dell’ambiente, in quanto la collaborazione da parte del bambino e la sua possibilità di apprendere dipende in modo sostanziale da come le attività, il tempo e lo spazio vengono strutturate visivamente.

A queste condizioni, e solo a queste, “integrazione” vuol dire facilitare la socializzazione, creare esperienze significative, ampliare le capacità comunicative, favorire l’autonomia personale e l’autostima. Pur all’interno di un contesto che prevede una quotidianità di incontro e confronto con i coetanei, il programma individuale dovrà essere calibrato sui bisogni del bambino con autismo nelle diverse età: in particolare, il programma dovrà essere centrato. a) in età più precoce, allo sviluppo della capacità di attenzione, di comunicazione (verbale e non verbale), di utilizzo di simboli e di modulazione degli stati emotivi; b) nelle età successive, al miglioramento dell’interazione sociale, all’arricchimento della comunicazione funzionale ed alla diversificazione degli interessi ed attività ( SINPIA 2005)

L’inserimento di allievi autistici nelle classi non costituisce un’opportunità di per sé sufficiente a promuovere il conseguimento di competenze sociali e comunicative o a favorire lo sviluppo cognitivo ed emozionale, qualora non sia sostenuto da un progetto educativo individuale adeguato.

La presenza dell’alunno con autismo va visto come una risorse per l’intero percorso educativo rivolto alla classe, in quanto “amplia i modi percettivi, le modalità di visione , gli angoli da cui partire” e “ sul piano cognitivo questa presenza giova nella misura in cui un’intuizione diventa, o può diventare, una soluzione “ ( V. Piazza 1999).

  


METODOLOGIE

Come evidenziato dal Professor Lucio Cottini, attraverso l’attenta analisi della quale è autore, ai fini della promozione di una reale e proficua integrazione scolastica è opportuno prendere in considerazione:

  1. a.    gli obiettivi individualizzati rapportati a quelli della classe;
  2. b.    la risorsa compagni;
  3. c.    le nuove prospettive della didattica speciale.

 

  1. a.  Obiettivi individualizzati e obiettivi della classe

La possibilità di trascorrere parte del tempo in classe, svolgendo attività simili a quelle dei compagni, risulta facilitata se si riescono ad adattare, o quanto meno avvicinare, nei casi più difficili, gli obiettivi individualizzati a quelli curricolari.

Per il soggetto autistico tutto ciò rappresenta un importante obiettivo relazionale, anche se egli utilizza parte del suo tempo in attività individuali e ripetitive. Strutturare la capacità di rimanere in ambienti poco prevedibili, mantenendo un comportamento non destabilizzante è, infatti, una meta educativa di notevole rilevanza.

Può anche succedere che alcune attività svolte dalla classe siano ritenute non adatte al livello dell’allievo. E’ opinione largamente, diffusa da parte degli studiosi, che anche in questo caso sia comunque opportuno farlo “partecipare alla cultura del compito”, per far sì che si senta parte integrante della classe e sia motivato nell’esecuzione dei compiti che lo vedono maggiormente protagonista (pensiamo, per esempio, alla partecipazione all’organizzazione del giornalino di classe, in cui svolgerà alcune mansioni semplici e assisterà al lavoro dei compagni, traendone indubbio vantaggio, su altre più complesse).

Altri obiettivi, molto specifici e funzionali (in quanto mirati all’acquisizione di abilità che faciliteranno lo svolgimento di attività integrate), fanno parte – invece – della programmazione più personalizzata, che prevede che alcune attività differenziate siano svolte all’interno del contesto integrato (di conseguenza occorre prevedere spazi per la lettura individuale, per il lavoro di videoscrittura o di ricerca al computer, per i lavori manuali, ecc.) e altre all’esterno della classe.

In tali casi è importante considerare la possibilità di un insegnamento uno ad uno ma i momenti di uscita dovrebbero essere temporalmente limitati (di norma non superiori alle 10-12 ore settimanali) e programmati in modo che possano ridursi con il progredire dell’azione educativa e dell’adattamento dell’alunno.

Lo spazio per l’attività individuale dovrebbe essere preferibilmente organizzato secondo i principi dell’insegnamento strutturato, propri dell’approccio TEACCH, i cui connotati, ampiamente condivisi dalla stessa O. M. S., devono essere fatti propri dalla rete istituzionale e sanitaria che si crea sul territorio. Si realizza, così, una presa in carico globale dei soggetti con autismo attraverso una risposta univoca che coinvolge i vari servizi. Com’è naturale tutto ciò non esclude ulteriori aperture e/o approfondimenti scientificamente validati, che l’evoluzione della pedagogia potrà offrire in futuro.

  1. b.  La risorsa compagni

I compagni di classe possono attivare sequenze di interazione in grado di facilitare fortemente la crescita sociale dell’allievo autistico.

E’ evidente che questo ruolo, che possono svolgere i coetanei, è soprattutto potenziale. Si rende pertanto necessario un loro coinvolgimento attivo, attraverso la sensibilizzazione nei confronti di tematiche, che per la loro complessità, devono essere affrontate con modalità e strumenti adeguati se si vogliono “capire” le problematiche di chi si comporta diversamente dal resto della classe. Le caratteristiche comportamentali e cognitive dell’autistico rendono molto complesso l’instaurarsi di rapporti interattivi di spessore significativo. In generale si possono, comunque, individuare una serie di accorgimenti atti a facilitare forme di aiuto e sostegno da parte dei compagni:

-        indicare abilità facilitanti la relazione;

-        programmare situazioni di tutoring;

-        lavorare alla creazione di un clima non competitivo per attivare esperienze di apprendimento comune.

  1. c.   Nuove prospettive della didattica speciale

Per una didattica che vuol “farsi” speciale, allo scopo di soddisfare il più efficacemente possibile i particolari bisogni dei soggetti autistici, è indispensabile: 1) promuovere in classe la conoscenza dell’handicap e dei deficit correlati; 2) avvalersi delle nuove tecnologie informatiche; 3) utilizzare le metodologie educative e didattiche messe a punto specificamente per i bambini con autismo.

         Promuovere la conoscenza dei deficit e dell’handicap in classe

Come già sottolineato, nel momento in cui viene stimolata una conoscenza adeguata ed una valorizzazione dei compagni è più facile che si attivino azioni di aiuto e sostegno.

Soprattutto con il soggetto autistico questo aspetto riveste un’importanza determinante, in quanto è necessario che i compagni capiscano che alcune particolarità comportamentali, quali le scarse relazioni sociali o eventuali atteggiamenti aggressivi, non sono dovuti a “cattiveria” o a volontà di offendere, ma rappresentano le conseguenze di un deficit.

Per approfondirne la conoscenza si possono utilizzare approcci diversi: da semplici spiegazioni degli aspetti principali della sindrome, alla visione di trasmissioni televisive sull’argomento o di film che hanno presentato mirabilmente storie riferite a persone autistiche, alla lettura e commento di biografie di autistici di alto livello, fino allo studio scientifico delle conoscenze ad oggi disponibili dell’autismo. Le stesse testimonianze di genitori di ragazzi affetti d’autismo, raccolte verbalmente o attraverso la scrittura di libri, possono utilmente elevare i livelli di conoscenza di ognuno.

       L’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche

L’utilizzo del computer nella didattica sta assumendo un rilievo considerevole nella scuola italiana, anche se non sempre al proliferare dell’hardware si associano software adeguati alle esigenze più specifiche.

Anche per l’allievo autistico l’informatica può costituire un’opportunità interessante, in grado di avvicinarlo alle attività svolte dal resto della classe. Si nota molto spesso che gli allievi sono motivati all’interazione con il computer, il quale permette di focalizzare l’attenzione per tempi prolungati su alcuni compiti facilitando la gestione di esercitazioni in maniera autonoma. E’ sicuramente necessario fare riferimento a tecniche e software particolari in relazione agli obiettivi che vengono perseguiti, tenuto conto che la più importante priorità rimane quella di favorire lo sviluppo della dimensione cognitiva, come condizione fondamentale per aumentare le capacità comunicative ed immaginative.

Utilizzare le metodologie educative e didattiche messe a punto specificamente per i bambini con autismo.

La conoscenza delle metodologie educative e didattiche validate dalla ricerca internazionale è indispensabile per la messa a punto e la realizzazione di un programma educativo individualizzato. In particolare, è auspicabile che tutti gli insegnanti che hanno alunni con autismo conoscano: a) le metodologie educative e didattiche utilizzate all’interno del Programma TEACCH; b) le strategie di Comunicazione Aumentativa e Alternativa applicata all’autismo; c) le tecniche di valutazione e intervento per la gestione dei problemi di comportamento. Di queste strategie si parlerà nel prossimo capitolo.

  


PRINCIPALI STRATEGIE DI INTERVENTO EDUCATIVO

  • IL PROGRAMMA TEACCH

L'adattamento dell'ambiente e delle attività alle esigenze del soggetto autistico consente di costruire un contesto molto strutturato, nel quale i punti di riferimento diventano visibili, concreti, prevedibili e accessibili.

L'organizzazione dell'ambiente fisico proposto dal TEACCH non è chiaramente replicabile in maniera completa a livello di scuola comune. Alcuni accorgimenti possono comunque essere adottati, soprattutto se si verifica che gli stessi tendono a tranquillizzare il ragazzo autistico e a consentirgli una presenza maggiormente adattata all'interno della propria classe.

Potrebbe, ad esempio, essere delimitato con del nastro adesivo uno spazio dove viene collocato il banco dell'allievo, con vicino un armadietto o degli scaffali dove possa reperire i materiali necessari all'attività didattica. Lo stesso spazio può essere ampliato per coinvolgere altri banchi quando viene prevista un'attività per piccoli gruppi. Gli spazi utilizzati per attività particolari - come la palestra, l'aula di musica, il laboratorio, ecc. - dovrebbero essere chiaramente indicati, in modo che il soggetto possa familiarizzare con una disposizione che assume contorni meno caotici e, conseguentemente, più rassicuranti. Con il passare del tempo ed il progredire dell'adattamento del bambino, questi accorgimenti potrebbero risultare non più necessari, per cui andranno progressivamente eliminati per conferire all'organizzazione una conformazione il più normale possibile.

Gli schemi visivi indicano all’allievo le attività da effettuare e la sequenza delle stesse, aiutandolo ad anticipare e prevedere i vari compiti. Sono generalizzabili anche a livello scolastico, per aiutarlo a capire lo svolgersi della giornata e l'alternarsi di momenti di lavoro (individuale o di gruppo) a momenti di gioco. La scelta dell’aiuto visivo più appropriato (oggetti concreti, fotografie, disegni, pittogrammi, parole scritte) dovrà essere basata sulla valutazione delle capacità di comprensione del bambino.

I sistemi di lavoro e la precisa organizzazione dei compiti e del materiale forniscono agli allievi autistici le informazioni sulla tipologia di compito da portare a termine e sulle modalità d'esecuzione. Nell'esperienza di integrazione scolastica una parte consistente del tempo del soggetto dovrebbe essere dedicata ad esercitazioni simili a quelle svolte dai compagni. In questo modo, anche se l'allievo autistico potrebbe insistere a svolgere le proprie attività in maniera autonoma e apparentemente non integrata con il resto della classe, tenderà comunque a strutturare un senso di appartenenza alla comunità.

La precisa organizzazione dei compiti prevista dal programma TEACCH può essere utile anche per fornire occasione di esercitazioni autonome e ripetitive all'allievo, le quali, anche quando non determinano risultati importanti in chiave di apprendimento, possono risultare utili per l'aumento dei tempi di permanenza in classe.


  • LA COMUNICAZIONE AUMENTATIVA E ALTERNATIVA

Può essere giusto ricorrere alla CAA quando un bambino non riesce a sviluppare il linguaggio verbale o quando esso non sia sufficiente a permettergli la comunicazione con gli altri, sia perché povero di vocaboli, sia perché incomprensibile per chi non lo frequenta abitualmente. L'aggettivo Alternativa sta ad indicare il ricorso a modalità di comunicazione diverse dal linguaggio orale. L'aggettivo Aumentativa sta ad indicare come le modalità di comunicazione utilizzate siano tese non a sostituire ma ad accrescere la comunicazione naturale.

Attualmente si preferisce utilizzare il termine Comunicazione Aumentativa, in quanto consente di pensare alle strategie, alle tecniche e agli ausili come possibilità di fornire qualcosa di aggiuntivo ad abilità comunicative di cui la persona è già in possesso (gesti, vocalizzi, sguardo, ecc.). Lo scopo di questo tipo di comunicazione è di compensare le carenze comunicative al fine di fornire dei mezzi espressivi adatti a manifestare adeguatamente i propri bisogni. Va da sé che non ci sono delle soluzioni precostituite e che queste saranno diverse, e quindi personalizzate, a seconda dell'età della persona, del suo sviluppo relazionale e cognitivo, della sua motivazione all'apprendere un nuovo modo di comunicare, dell’ambiente in cui vive, ecc. Gli strumenti forniti devono essere non solo idonei ma anche flessibili, in quanto dovranno adattarsi all'evolversi delle abilità del soggetto autistico. È importante soprattutto aiutare l’alunno autistico a sviluppare e potenziare le proprie abilità residue insegnandogli le strategie adatte, per permettergli di usare il più autonomamente possibile i vari simboli e ausili a disposizione. Infatti, uno dei principali strumenti di Comunicazione Aumentativa sono proprio i sistemi simbolici grafici che danno la possibilità di esprimersi attraverso dei segni grafici alle persone che sono impossibilitate a produrre simboli, ma sono in grado di selezionarli.

Le strategie di CAA maggiormente validate dalla ricerca sono quelle che prevedono l’utilizzo dei segni manuali e di immagini come foto, disegni e pittogrammi: in particolare sono stati utilizzati in numerose esperienze i simboli PCS (Picture Communication Symbols di Meyer-Johnson) anche attraverso la metodologia dei PECS (Picture Ecxange Communication Symbols di Bondy & Frost). Una metodologia validata per far fronte ai problemi di comportamento è quella nota come Comunicazione funzionale (FCT, Functional Communication Training)

Ad integrazione delle tabelle di comunicazione si possono usare anche degli ausili di comunicazione con uscita di voce denominati VOCAS (Vocal Output Communication Aids), i quali possono essere costituiti da uno o più pulsanti. La loro pressione provoca l'ascolto di un messaggio preregistrato. I messaggi che possono essere programmati sono però in numero definito e quindi limitano la comunicazione. I programmi software che riproducono le tabelle di comunicazione, invece, non hanno nessun limite numerico di messaggi e l'accesso può avvenire con tastiera, dispositivi di puntamento, sensori. Le tecniche di Comunicazione Aumentativa Alternativa descritte non possono certamente sostituire la praticità, la velocità, la precisione del linguaggio orale ma offrono la possibilità alle persone autistiche con disabilità verbali di poter finalmente comunicare.

 

  • ANALISI FUNZIONALE E PROBLEMI DI COMPORTAMENTO

I bambini con autismo possono presentare diversi problemi di comportamento: oppositività al lavoro proposto, crisi di collera, aggressività, autolesionismo mancato rispetto delle regole della classe, comportamento distruttivo, rituali che disturbano il lavoro degli altri compagni, e altri ancora.

La maggior parte dei problemi di comportamento sono determinati da: a) problemi di tolleranza sensoriale a determinati stimoli ambientali (rumore, confusione, luminosità, calore); b) proposte didattiche non adeguate alle caratteristiche del bambino (troppo complesse o, in una minoranza di casi, troppo semplici); c) problemi di comunicazione, sia nel senso di mancata comprensione di ciò che gli altri dicono, sia nel senso di difficoltà per il bambino ad esprimersi.

Solitamente è difficile intervenire dopo che il problema si è manifestato, mentre è più efficace prevenire questi problemi strutturando l’ambiente e valutando in modo preciso le occasioni in cui intervengono. “Una struttura che, partendo dalle abilità, dia visivamente certezza, prevedibilità, sicurezza, dà una risposta “educativa” ai comportamenti problema […]” (E. Micheli 2003).

I problemi di comportamento richiedono una valutazione che consenta di fare una ipotesi su cosa lo ha determinato. A questo scopo è utile fare riferimento alla tecnica dell’ analisi funzionale messa a punto in ambito comportamentale. Inoltre, una valutazione specifica del livello di comprensione del linguaggio (che è scarsa nella maggior parte dei casi) rappresenta un’azione indispensabile per la prevenzione dei comportamenti problema e, più in generale, per tutto l’intervento.

  


LINEE GUIDA FONDAMENTALI

Uno degli obiettivi del Progetto coordinato in Rete, che si fonda su un percorso di cura individualizzato e su un programma psicoeducativo condiviso tra Famiglia, Scuola e Servizi, è quello di favorire la generalizzazione di abilità e competenze rilevate nella Valutazione Funzionale iniziale (che dovrebbe prevedere l’uso di strumenti specifici come le scale Vineland, il PEP-r e l’AAPEP).

Tale Valutazione Funzionale, che dovrà essere periodicamente aggiornata, ha lo scopo di:

 a) “differenziare”, mettendo in luce le aree di potenzialità, i diversi soggetti che rientrano nell’inquadramento diagnostico dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo;

b)  “orientare” l’intervento individualizzato;

c)  “suggerire” modalità e tecniche specifiche di intervento;

d)  “valutare” l’esito degli interventi.

Il lavoro terapeutico orientato allo sviluppo ed alla acquisizione di nuove competenze in setting strutturati presso i Servizi (SINPIA 2005) necessita, pertanto, per una garanzia di continuità e qualità nel tempo, della coordinazione operativa con la Famiglia e la Scuola, fondamentali ambienti naturali di crescita, educazione e sviluppo del bambino/a, e si deve fondare su obiettivi “funzionali” (comunicazione, abilità relazionali e sociali, autonomie) condivisi, verificati ed aggiornati nel tempo, atti a favorire un adattamento all’ambiente il più adeguato possibile del soggetto, secondo parametri di salute e benessere individuale (ICF).

Tale attività di coordinazione operativa deve però mantenere stabilmente nel tempo il proprio riferimento al concetto iniziale di “valutazione”, basandosi su indicatori precisi su cui “misurare” la qualità e su cui fare una buona ricerca scientifica nel contesto di una raccolta sistematica delle documentazioni sulle esperienze e sulle buone prassi (D. Ianes, 1999).

Il riconoscimento dell’appropriatezza, dell’efficienza e soprattutto dell’ efficacia degli interventi realizzati si dovrà infatti sempre più fondare su confronti di risultati conseguiti in termini di adattamento sociale e di vita qualitativa dei soggetti autistici, dando sempre più spazio ai giudizi delle famiglie ( G. M. Arduino 2005, L. Cottini 2005).

Quindi non si può che convenire in modo pieno e convinto con l’articolata riflessione di Patrizia e Tiziano Gabrielli quando sostengono che l’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire, in particolare:

  • l’acquisizione di un linguaggio(in qualunque forma possibile, privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto ecc.);
    • lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente;
    • la promozione di competenze strumentali di base;
    • la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe;
    • l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo di questo intervento è sicuramente facilitato da un inserimento educativo precoce alla scolarizzazione da parte del bambino autistico, nonché dalla competenza di tutti gli operatori coinvolti, che devono essere persone preparate e motivate sotto il profilo relazionale, della conoscenza della patologia e delle strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili. Ciò consente di poter supportare anche i casi più “severi”, caratterizzati dalla presenza di comportamenti disturbanti come, ad esempio, aggressioni e autolesionismo. In tal modo la scuola, gli insegnanti e i compagni, saranno in grado di accogliere con maggior serenità, e in modo propositivo, “l’amico speciale”.

Mancando di opportune conoscenze esiste, viceversa, il rischio che l’operatore finisca frequentemente per trasformarsi in una sorta di pseudoterapista, che ripropone a scuola modelli di lavoro emarginanti, tali - in ogni caso - da non permettere di cogliere tutte le potenzialità che possono derivare dalla "costruzione" di un contesto integrato.

Condizioni pregiudiziali al raggiungimento dell’obiettivo della piena integrazione scolastica sono, in particolare:

  1. 1.   disponibilità affettiva e comunicativa degli insegnanti, di cui è necessario assumano personale e piena responsabilità;
  2. 2.   fiducianell’ottenimento degli obiettivi che debbono essere quanto più possibile concreti;
  3. 3.   coinvolgimento di genitori e familiari, che devono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa. E’ necessario partecipare, come genitori, alla stesura del progetto educativo‑pedagogico dei figli, un progetto individualizzato realistico e condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso (perfino formulato insieme ai genitori), esplicito, flessibile, utile nel metodo e nei tempi.
  4. 4.   lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione degli interventi. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e organizzazione interna della scuola.

I mondi della ricerca clinica e pedagogica e della prassi didattica non possono più essere separati. Occorre definire un rapporto stretto e sinergico tra le conoscenze in campo scientifico. in campo medico e psico‑pedagogico e quanto si sperimenta giornalmente all’interno delle aule scolastiche, in modo da superare possibili separatezze.

 


DAL SOSTEGNO AI SOSTEGNI

Il successo formativo che, come è stato detto, si rende possibile attraverso l’elaborazione di obiettivi semplici, limitati, graduali, progressivi, tramite tentativi e aggiustamenti continui degli apprendimenti, rende ormai urgente il passaggio ad una visione più allargata rispetto a quanto è avvenuto finora, nella consapevolezza che l’obiettivo comune si realizza con lo sforzo di tutti.

Diventa fondamentale il passaggio concettuale che sostituisca l’insegnante di sostegno con i “sostegni”, intesi come insieme di strumenti, operatori, energie, risorse. Coordinati, legati a precise situazioni contestuali, ai vari operatori protagonisti in quel momento, in quella realtà specifica scolastica e sociale in cui si intende realizzare l’integrazione di questi allievi.

Alle citate condizioni sono sostegni non solo la comunità, il gruppo sociale e scolastico, il gruppo classe, il tutoring ma anche la documentazione, l’organizzazione degli spazi e i corsi di formazione; gli incontri tra operatori coinvolti, tra questi e i medici, con i genitori. Sono un sostegno le valutazioni collettive periodiche ecc.

Insomma i sostegni sono tanti e chiamano in causa anche altre realtà. Richiedono l’apporto congiunto e sinergico di diversi contributi, sia da parte delle strutture dell’Amministrazione centrale e periferica, che da parte di organi rappresentativi, livelli istituzionali (Ministero della Salute, Ministero del lavoro, Ministero delle Tecnologie), enti locali, associazioni operanti nel settore dell’integrazione delle persone con disabilità, ecc.

 


CONSIDERAZIONI

Come si sottolineava all’inizio di questa trattazione sono innegabili i progressi compiuti nell’ambito dell’integrazione scolastica delle persone disabili, il che non significa che tutto sia risolto. Anzi.

Alcune gravi carenze sono rimaste nel sistema e si avvertono pesantemente. Il Professor Danilo Massi, al riguardo, nel capitolo “Integrazione scolastica: non basta sedersi tra i banchi” pone l’accento sul fatto che non può esserci una vera integrazione dell’alunno disabile quando essa “diventa uno sterile conflitto tra insegnanti per la ripartizione percentuale delle ore relative alla sua presenza; quando la collaborazione tra operatori si limita alla burocratica compilazione del PDF (Profilo dinamico funzionale); quando “il Gruppo H” d’istituto c’è soltanto perché è stato deliberato dal Collegio Docenti; quando i progetti si fanno per utilizzare le risorse economiche e non viceversa, […]”.

Al 31/12/2001 gli insegnanti di sostegno nella scuola statale erano in totale 71.194, dei quali 22.908 a tempo determinato. Va rimarcata la mancata specializzazione di quasi il 40% di loro ma anche la mancata formazione programmata e generalizzata degli insegnanti curricolari, che favorisce la delega pressoché totale al solo insegnante di sostegno.

La presenza di questi ultimi è caratterizzata, poi, da precarietà e costante turn-over, con conseguente necessità continua di reclutamento, provvisorietà, discontinuità didattica e difficoltà nella crescita di competenze professionali. E’ tempo di dire basta a questo deprecabile andazzo. Ma occorre anche:

Ridefinire il ruolo professionale del docente di sostegno e pensare a una sua utilizzazione più funzionale, attraversoalmeno 200 ore di formazione specialistica, commisurate alla tipologia di handicap, da aggiungere alle attuali 400 ore di attività formative di base necessarie per conseguire la specializzazione nel sostegno;

Inserire nella formazione iniziale degli insegnanti curriculari un certo numero di crediti formativi nell’ambito della pedagogia e della didattica speciale. Questo porta a comprendere meglio:

  • che ogni persona disabile ha una sua storia;
  • che ha cause e condizionamenti specifici.
  • che proprio per questo l’integrazione non può mai essere indifferenziata né generica, giacché le condizioni di disabilità non sono indifferenziate;
  • che cosa significa individualizzazione e personalizzazione degli interventi;
  • che essi hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale, cosi come recita l’art. 38 della Costituzione italiana;
  • che questi ragazzi sono cittadini alla pari, ai quali per diritto devono essere garantite le pari opportunità;

Prevedere un aggiornamento continuo e sistematico di tutti gli insegnanti, sulle tematiche della pedagogia speciale;

Realizzare corsi obbligatori di aggiornamento per dirigenti e ispettori tecnici, aventi per oggetto le problematiche di integrazione scolastica insite nei nuovi modelli educativi.

  


CONCLUSIONI

Emerge da queste pagine un forte bisogno di formazione. Non una formazione costosa ed elitaria ma sistematica, pubblica, e aperta a tutti.

E’ auspicabile che l’università si impegni a fornire formazione specialistica continua sull’handicap per i medici, per gli insegnanti, per i genitori. Gli enti locali devono attivarsi nella stessa direzione.

Si avverte il bisogno che gli obiettivi raggiunti siano continuamente spostati in avanti, si aprano a nuove sfide, utilizzando e coinvolgendo tutte le risorse integrate con la scuola, anche quelle di enti e istituzioni del privato-sociale con esperienze pluriennali e competenze specifiche nel settore.

Sottolineano I. Basso e R. Lucioni che “riflettere oggi sull’autismo non è solo indagare sulle disabilità, bensì capire di essere di fronte ad una persona, perché anche la somma di tutte le disabilità non può essere considerata “perdita di personalità”. Se ci fermiamo a considerare il “mancante”, usiamo un criterio quantitativo, che appartiene al computo di oggetti ma che è assolutamente inaccettabile se riferito agli esseri umani. Solo attraverso criteri qualitativi, viceversa, è possibile distinguere tra salute e malattia. Abituarsi a vedere la sofferenza senza reagire, a guardare la miseria senza attivarsi per sconfiggerla non è meno autistico del comportamento di un bambino che presenta questa disabilità”.

Si tratta di creare, allora, le pari opportunità dei cittadini come condizione essenziale per lo sviluppo complessivo della società, che non può e non deve sprecare la ricchezza che ogni persona possiede e che può manifestare solo se vi è un ambiente favorevole alla sua espressione.

[…] In questo consiste la sfida dell’integrazione, nel dimostrare l’educabilità di tutti, la possibilità di apprendere per tutti senza porre limiti in anticipo a nessuno... [G. Vitale]


 

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