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Storia di un'amara vacanza

di Rosa Mauro

 

La riflessione prende spunto da un articolo de l'adige.it (http://www.ladige.it/territori/fiemme-fassa/2015/07/11/disabili-hotel-pozza-fassa-clienti-vanno-via-titolare-amareggiato) dell' 11/07/2015

Questa è una notizia di qualche tempo fa, che narra di due coppie che hanno lasciato un hotel perché infastidite da un gruppo di disabili e accompagnatori. L’attenzione del 99% dei lettori, penso, si è concentrata (ovviamente) sulla storia in sé e sul comportamento delle due coppie, ma io, che amo leggere tra le righe, mi sono accorta di una cosa forse sfuggita ai più.

Le affermazioni che cito qui, testualmente, mi hanno inquietata e ferita molto: Infastiditi dalla presenza, soprattutto a tavola, di menomati. I portatori di handicap, una quarantina più i rispettivi accompagnatori, erano però tutti più o meno autonomi, composti e silenziosi, molto educati e cordiali. Alcuni erano solo sordo-ciechi.

Studiamo i protagonisti. Comincio dalla coppia di turisti, che ha definito le persone con disabilità “menomati”. Visto come si è comportata, andandosene dall'hotel, ci sta per quanto possa sembrare paradossale. Poi, però, abbiamo il giornalista, che le chiama “portatori di handicap”, e non persone disabili. Sottolinea la loro autonomia e compostezza, educazione e cordialità, ed infine aggiunge che alcune di loro erano solo sordo-ciechi.

Cosa leggo dietro questa comunicazione? Punto primo: anche il giornalista non le qualifica come persone o come ospiti bensì come portatori di handicap: cosa che evidentemente deve apparirgli più importante di ogni forma di loro identità, al punto che l'articolo non riporta alcuna dichiarazione di queste persone o dei loro accompagnatori, ma solo dei responsabili dell'hotel. Cosa perlomeno curiosa: il pezzo “parla” di disabilità (apparentemente per difendere delle persone con disabilità), ma poi - di fatto - non fa parlare le persone e le lascia sullo sfondo. Si sottolinea che erano autonomi, composti e silenziosi… E qui scatta la mia domanda cattiva: E se non lo fossero stati? In fondo erano in vacanza e potevano ben avere voglia di divertirsi… Sono diventati accettabili solo in quanto silenziosi?

Si sarebbe potuto scrivere che erano rispettosi delle regole dell'albergo… Concentrarsi, invece, solo sul carattere costante di un certo comportamento lo trovo come minimo sospetto. E poi perché sottolinearne l'autonomia? Anche se non fossero stati autonomi avevano degli accompagnatori… Ragion per cui la cosa non riguardava in alcun modo l'articolista che, però, ha voluto sottolinearla insieme alla composta silenziosità ed educazione degli ospiti.

Delle due l'una: o si pensa che le persone con disabilità debbano essere trattate come tutti o si accettano “solo” se hanno un determinato carattere!

Ma chiediamoci: alle persone cosiddette normali questo viene chiesto? Hanno mai passato un test della personalità prima di essere accettate in albergo o, se un po’ chiassose, ciò è stato citato a loro discapito? Prima di avere una condizione di disabilità, la persona è “semplicemente” un essere umano, con pregi e difetti. Per fortuna, non si è angeli ma uomini e donne reali!

In nessun caso la coppia doveva andarsene a causa della loro presenza, non serviva scrivere che in qualche modo erano disabili socialmente accettabili. Non serviva mettere quel trafiletto, come a dire: Ma che avevano da lamentarsi? Loro si comportavano bene, anche se disabili”. Il capolavoro del giornalista, però, arriva subito dopo: "Alcuni di loro erano solo sordo ciechi”. Domanda cattiva: i sordo-ciechi sono meglio degli altri? Di quelli in carrozzina? DI quelli, non sia mai, mentali o psichici?

L'articolo si conclude così: “Due episodi che fanno riflettere su quanta strada ci sia ancora da percorrere, per far sì che la disabilità sia accettata come normale”No, caro giornalista, non ci siamo proprio. Avresti dovuto scrivere: non la disabilità ma le persone con disabilità”. La disabilità non è un marchio di fabbrica, non è una condizione che prescinde dalla pura e semplice definizione della persona.

Una decina di paraplegici e una trentina di disabili fisici è il modo con cui il giornalista li cita. Per il reporter in questione, dunque, sono tutti marchiati con la loro disabilità, tutti “non persone” destinate a non avere neppure il diritto di parlare su qualcosa che li riguarda. Basta citarli, proprio come se fossero animali da salotto, sottolineando che sono “educati, cordiali e composti”. Mica gente che si mette a cantare “alò alò andiamo al falò”, o ride o parla a voce alta, perché quello si che non sarebbe stato permesso: sono disabili e che diamine, mica una comitiva in vacanza!

Mi domando, con tutta la mia buona volontà, perché il giornalista non si sia impegnato nel costruire una vera storia, visto che poteva farlo. Perché continuare a citare le persone con disabilità in massa, perdendosi nella convinzione che, in ogni caso, esse avevano qualcosa da farsi perdonare: quella disabilità che sovrasta il loro nome, che sostituisce il loro cognome con quello, massificante, di disabili?

Tutti ne sono "usciti bene": lo chef, l'albergo, l'albergatore, il giornalista... Perfino la coppia di turisti, ha avuto un suo ruolo, il suo spazio pur se destinato al biasimo... E le persone che in questa storia sono state vittime? Oggetti. Meri oggetti di cui discutere…

L'informazione deve riuscire a diventare altro, a veicolare un cambiamento vero che, almeno in questo articolo, proprio non si vede… Lavoriamo per questo! Per questo grande obiettivo!

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