In altre parole, spiega Ippolito «i parametri che devono coesistere affinché possa esserci una diagnosi di autismo sono due: deficit persistente della comunicazione e dell'interazione sociale e interessi ristretti. Questo è importante affinché si faccia la stessa diagnosi in presenza degli stessi sintomi». Ma a quanti anni si può avere una diagnosi? «Prima si diceva entro i primi tre anni di vita, oggi si parla di prima infanzia. Questo perché molti genitori raccontano di uno sviluppo che inizialmente sembrava normale, sino ad arrivare ad un vero e proprio black out. Una caratteristica che spiega anche le voci che girano sulla possibilità che i vaccini siano pericolosi». E va detto che la questione vaccini continua ad essere molto discussa. Giovanni Ippolito ad esempio non si sbilancia, la sua personale idea è che «ci siano ancora molte pagine da scrivere su questo tema.
La questione è complessa - aggiunge, - io ho avuto qualche remora a vaccinare le mie figlie; poi però ho scelto di farlo, perché i rischi, se ce ne sono, sono certamente molto meno dei vantaggi». Al di là delle opinioni di ciascuno, un dato certo è che per i bambini con disturbi dello spettro autistico è fondamentale iniziare quanto prima una terapia cognitivo-comportamentale. E anche se dall'autismo non si guarisce, si possono avere significativi miglioramenti. «Si possono raggiungere grandi traguardi conclude lo psicologo pugliese -, il mese scorso a Napoli si sono ritrovati 110 bambini con autismo, una giornata di sport organizzata dalla Cooperativa Tma Group del dottor Giovanni Caputo insieme al dottor Luigi Sentenza e alla Federazione italiana sport e disabilità intellettiva relazionale. I ragazzi sono stati fantastici, hanno saputo comprendere il senso della gara, l'attesa, l'importanza del risultato e del rispettare le regole». Ma anche attività semplici come praticare uno sport o un gruppo di animazione, a causa delle tante carenze territoriali, possono diventare ostacoli insormontabili.
Talvolta anche solo frequentare la scuola diventa impossibile e, come spiega Carlo Giacobini, tra i fondatori della Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap e direttore di Handylex.org, «essere esclusi da un percorso scolastico comporta ricadute molto pesanti. Per questi ragazzi l'inclusione è vitale». E qui ci si scontra con le moltissime falle che esistono a livello normativo e organizzativo. Spesso, ad esempio, le scuole non sono in grado di accogliere adeguatamente persone con autismo. Eppure, già dal 1975, in Italia si è stabilito che le persone con disabilità non devono seguire percorsi differenziati. «Lo sforzo di tutte le associazioni in quest'ultimo ventennio prosegue Giacobini - è stato quello di insistere per garantire un'inclusione di qualità nei percorsi ordinari di studio». Naturalmente generalizzare è sempre un errore, in alcune realtà l'inclusione scolastica non solo è possibile ma è anche molto efficace. Tuttavia, finita la scuola dell'obbligo, per tutte le famiglie, e in particolare per quelle che devono combattere con un autismo a basso funzionamento, inizia un vero e proprio calvario. I familiari sono spesso infatti tutto ciò che resta a questi ragazzi, e altrettanto di frequente il pubblico non riesce a garantire alcun tipo di assistenza, di supporto, di sollievo, di percorsi personalizzati.
«Il più delle volte aggiunge Giacobini ad impoverirsi (non solo economicamente) è l'intero nucleo familiare, si crea una sorta di reciproca dipendenza assistenziale. Tanto che per alcune famiglie il regalo più grande è avere una settimana di tregua, poter dormire almeno una notte». Giacobini non è il solo a pensare che si dovrebbe riconoscere e sostenere, e presto, la figura e il ruolo dei "caregivers". «In Italia conclude siamo ancora molto indietro da questo punto di vista, così come siamo indietro sul problema del "dopo di noi".
Questa è una questione che i genitori, comprensibilmente, vivono con grande ansia. Ecco perché è fondamentale arrivare presto ad una legge sul "dopo di noi". Alla Commissione Affari sociali della Camera è all'esame un testo che ha necessità di emendamenti e correzioni, ma che certamente porta finalmente il tema anche nel dibattito politico. Ma vogliamo che le soluzioni adottate non siano quelle della segregazione o degli istituti, o delle comunità, ma quelle della reale inclusione nella comunità di riferimento anche quando mancasse il sostegno familiare».