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“Murati vivo in casa e sparisci”, quando le parole fanno male

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

totemmagazine.it/    Simona Bonito

“Murati vivo in casa e sparisci”, quando le parole fanno male

Oggi vi racconto una storia che a me fa orrore! Una storia che nasconde dietro alle parole comportamenti di odio che vanno assolutamente denunciati.

Le parole d’odio sono veicolo di discriminazioni e stereotipi che ostacolano l’eguaglianza e hanno conseguenze, a volte molto gravi.

Imparare a usare correttamente le parole e non lanciarle come sassi da un cavalcavia, ci permetterebbe di aprirci al confronto e all’inclusione.

Nonostante le numerose iniziative per contrastare la violenza, oggi, con grandissima delusione devo constatare che a poco sono servite, se in una cittadina “apparentemente” tranquilla come la nostra, le manifestazioni di intolleranza e incitamento all’odio “abitano” la rete.

Lo scorso sabato, purtroppo, mi sono imbattuta in un post di Simone, il nostro Simone, che riporto testualmente: “Chi pensava di offendermi scrivendo su messenger MURATI VIVO IN CASA E SPARISCI, non mi ha affatto colpito”.

Sia occhi che cuore non hanno potuto fare altro che sobbalzare davanti a parole ingiuriose e usate con l’intento di fare male. In “Parole per ferire” Tullio De Mauro afferma: “Anche nell’odio le parole non sono tutto, ma anche l’odio non sa fare a meno delle parole”.

Di odio a costo zero nelle parole del post di Simone, come atto di denuncia per aver subito un danno, ne ho trovato tanto, quell’odio che parte da una diseducazione sociale, dalla mancanza di rispetto verso l’altro e verso la presunzione assoluta di essere migliore di chi ai nostri occhi, ci sembra che gli manchi qualcosa. Simone però è stato forte e all’odio ha risposto, come sempre con educazione e dimostrando di essere migliore di tanti altri.

Le problematiche sottese alla violenza e ai comportamenti dei bulli, l’uso spregiudicato delle parole per colpire “l’altro diverso da me”, negandone l’individualità, è una modalità relazionale che deve essere stigmatizzata in quanto si tratta di un fenomeno, che negli ultimi anni si è molto acuito creando un profondo e preoccupante allarme sociale.

Ho volutamente nelle ore seguenti condividere il post per dimostrare al mio amico Simone che in questa battaglia contro l’odio e contro atteggiamenti discriminatori, lui non è solo. Anzi.

Numerosi infatti sono stati i messaggi solidali da parte delle tante persone che conoscono Simone e che gli vogliono bene, fino a quando però, qualcuno, con tanto di nome e cognome, ha continuato la sua insensata guerra da cyberbullo, seminando odio a casaccio: “E tu sei un ritardato Asperger. Sparisci” per poi scomparire esso stesso nella rete con un semplice click! E già, perché l’odio attualmente è alla portata di un click.

Mi chiedo, al netto delle azioni legali che magari la famiglia di Simone intenderà avviare: non è forse urgente, indispensabile e immediata una azione che contrasti questi fenomeni di odio? Non occorre incidere su processi educativi ed emozionali?

L’hate speech non è un fenomeno confinato sui social, l’odio è ovunque anche quando non lo vediamo, è tra gli sguardi delle persone, tra il non detto, nel passaparola per screditare qualcuno, nel non consentirli di vivere una vita serena, nel desiderio morboso e ossessivo di rendere difficile l’esistenza a qualcun altro. Dietro un social network, magari con un nome falso, e mi sono imbattuta in tanti, si nascondo persone che utilizzano le parole per ferire, per fare male, per offendere.

È importante che la prima risposta al cybebullismo arrivi da noi fruitori dei social network, non solo per sostenere chi le offese le subisce, ma soprattutto per dimostrare che con educazione si può anche esprimere una opinione differente da un altro senza doverlo necessariamente offendere!

Simone non è solo e non lo sarà mai, ha noi che gli vogliamo bene, ha noi che seguiamo il suo percorso (compresi i suoi limiti) tenendogli la mano, ma abbiamo tutti un dovere morale e sociale di (ri)eduare il bullo, l’hater, consentirgli di ricredersi, di vedere le cose con occhi nuovi, con una sensibilità differente, smontare le sue credenze e le sue convinzioni errate, perché la forza del bullo, quella che dobbiamo contrastare, sta nell’indifferenza degli altri. Di tutti noi!