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Piccole storie

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

L. Giardina

Sono seduta ad un bar, sto mangiando il mio gelato e poi si siede lui, con una camicia gualcita, sicuramente stirata da nessuno, un gilettino di quelli che usava per andare a caccia, un cellulare con i numeri di telefono (sicuramente dei figli) scritti su un pezzo di carta incollato sul retro dello schermo.

Alza la mano facendo un cenno al cameriere, che lo ignora la prima volta, poi anche la seconda. Fa cenno anche ad un altro cameriere che però questa volta si avvicina chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa. Dopo un paio di minuti gli porta una brioches piena di gelato alla nocciola, con panna ovviamente, e lui inizia a mangiare, solo, in un tavolino più laterale possibile, per non essere troppo al centro dell'attenzione, con altre tre sedie, avrebbe potuto scegliere un tavolo a due, ma forse aspettava qualcuno.

Poi prende il cellulare e fa una chiamata, ovviamente in vivavoce, oppure non sarebbe un anziano signore che si rispetti.

"Ciao nonno!"

Una voce maschile dall'altro lato del cellulare.

"Ciao vita mia, come stai?"
"Bene nonno, tu?"
"Lo sai, non mi lamento mai! Gli altri come stanno?"
"Nonno ti richiamo dopo che per adesso non posso parlare, un bacio nonno!"

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Di una bellezza accecante

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

Un ragazzo del Togo dalla maglietta rossa, non ha neanche 20 anni, che, con le ultime forze rimaste, aggrappato in qualche modo all’ultimo brandello di legno resistito al naufragio, dopo aver salvato altre persone, afferra una bimba di 4 mesi con un principio di annegamento e le salva letteralmente la vita.
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«Sono morto in un cassonetto. Non ero un senzatetto, ero solo un padre»

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

dilei.it

Un ragazzo di non ancora trent'anni è morto all'interno di uno di quei cassonetti gialli della Caritas e i titoli dei vari quotidiani lo hanno liquidato scrivendo che era un homeless

È da quando ho letto questa notizia e come è stata riportata, che non riesco a pensare ad altro, perché non è solo il dramma della morte di un giovane uomo in un modo orribile, ma è anche e, forse, soprattutto, uno spaccato di quelle famiglie che conducono un’esistenza nella soglia della povertà, quei nuclei invisibili allo Stato, ma anche ai vicini, famiglie che, nonostante il lavoro, e nonostante una fissa dimora, riescono ad arrivare a fine mese con difficoltà, e che per pudore e con grande dignità, non cercano aiuto, tentano di “bastarsi”, ma che non sempre ci riescono.

La scorsa settimana un ragazzo di non ancora trent’anni è morto all’interno di uno di quei cassonetti gialli della Caritas e i titoli dei vari quotidiani non avendo ancora notizie certe, o forse non cercandole nemmeno, hanno liquidato quella tragedia con questi titoli “senzatetto muore stritolato in un cassonetto”, “muore stritolato per prendere un vestito usato“, “moldavo muore in un cassonetto”, “un giovane, senza fissa dimora, muore stritolato”. Come vedete bene anche voi il verbo stritolato è stato usato da tutti i quotidiani, perché colpisce l’attenzione macabra dei lettori, riporta a una situazione tragica e drammatica, apre scenari da film horror, lascia libera l’immaginazione di chi sta leggendo, ma il tutto viene liquidato con la specifica che il ragazzo, per quanto giovane, fosse un homeless, un senza fissa dimora. In alcuni titoli poi si è specificata l’etnia, allora il ragazzo in alcuni casi è diventato di origini cecene, in altri moldavo, in altri ancora albanese, come se il Paese di provenienza potesse in qualche modo giustificare o alleviare il peso di questa morte atroce.

Questo accade tra la notte di venerdì 14 e sabato 15 maggio, è da poco passata la mezzanotte quando l’uomo arriva nella zona residenziale del centro a Mestre, a due passi dal municipio, a tre da piazza Ferretto, si guarda un po’ intorno, ha una pila. Prova a entrare una prima volta, poi torna indietro, alla fine riesce a infilarsi con la testa nel box dei vestiti. Da lì, però, non uscirà più. L’allarme viene dato da un passante: sul posto arriva in pochi secondi una volante della polizia, ma gli agenti della questura possono ben poco. Mezzanotte e quaranta: accorrono anche i vigili del fuoco e l’ambulanza del Suem. Non è possibile estrarlo e allora i pompieri usano le cesoie per aprire come una scatoletta di latta il cassonetto: il ragazzo viene liberato, ma è troppo tardi. È morto. Il caso viene liquidato come dramma della povertà, e così viene riportato dai maggiori quotidiani, sia cartacei che digitali, complice il fatto che il giovane non avesse documenti con sé, addirittura qualcuno si è spinto oltre, sostenendo che avesse un complice e che, con lui, stesse rubando i vestiti usati per poi rivenderli. Come a mettere l’accento sul fatto che alla fine quella morte se la fosse anche un po’ cercata, e infatti i commenti sui social, sotto ai vari articoli andavano anche in quella direzione, fino a quando non si è scoperta la verità sull’identità di questo giovane e sfortunato ragazzo.

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Rose Freedman

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

 
Aveva 17 anni Rose Freedman quando fu assunta alla Triangle Shirtwaist, doveva spingere bottoni dentro una macchina per sette dollari a settimana.
Produceva la shirtwaist, una camicetta stretta in vita, simbolo della donna moderna e dinamica del Novecento.
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Mustapha Manneh, 32 anni

Scritto da Super User. Postato in Storie di Invisibili

 
Mustapha Manneh, boscaiolo di 32 anni, è morto schiacciato da tronchi d’albero mentre lavorava in Val Visdende nel comune di Santo Stefano di Cadore (Belluno)
Questa immane tragedia e tutte le altre morti sul lavoro sono evitabili ingiustizie che compromettono l’integrità delle fondamenta sulle quali è costruita la nostra Repubblica fondata sul lavoro.
Il Governo si adoperi con determinazione con un Piano di prevenzione per non acconsentire alla morte (che distrugge, ruba e uccide la vita) di bussare alle porte del lavoro perché morire di lavoro lascia a tutti noi un dolore profondo considerato che ogni vita è altamente preziosa.

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