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Lei è Latifa. Lei è nata in Marocco. Lei è francese. Vive a Rouen. Ha 59 anni. Latifa ha un figlio. Lei ama suo figlio. Lui è Imad. È un paracadutista dell’esercito francese. Imad è un bravo soldato, e un brav’uomo. Crede nel rispetto, e nella tolleranza. È l’11 marzo del 2012. Siamo a Tolosa. Imad incontra un ragazzo che ha risposto al suo annuncio e vuole comprare la sua moto. Lui è Mohamed Merah. Lui dà una veloce occhiata alla moto di Imad, poi alza la testa, lo guarda dritto negli occhi, infila una mano in tasca, impugna una pistola e gli spara alla testa. Imad non saprà mai perché lo hanno ammazzato. Perché è morto. Dopo di lui, Merah uccide altri due soldati a Montauban, poi un insegnante e tre bambini alla scuola ebraica. Merah ha 23 anni. Merah è un estremista islamico. Viene catturato e ucciso. Seppellito il figlio, due mesi dopo Latifa va a fare un giro nel quartiere dove e nato e cresciuto il suo assassino. Vuole capire, toccare con mano quello che non riesce a spiegarsi. Latifa incontra i ragazzi, parla con loro, li ascolta. Loro dicono che Merah è un eroe, un martire dell’Islam. Lei accusa il colpo. Loro la riconoscono. Si scusano. Latifa non si dà pace. Deve fare qualcosa. Fonda un’associazione intitolata al figlio, per i giovani e per la pace. Va nelle scuole, nelle strade, nelle prigioni. Parla di laicità e di islam, di come si può vivere in Francia da musulmani senza farsi imbrogliare dagli estremisti.