LINEE GUIDA FONDAMENTALI

Uno degli obiettivi del Progetto coordinato in Rete, che si fonda su un percorso di cura individualizzato e su un programma psicoeducativo condiviso tra Famiglia, Scuola e Servizi, è quello di favorire la generalizzazione di abilità e competenze rilevate nella Valutazione Funzionale iniziale (che dovrebbe prevedere l’uso di strumenti specifici come le scale Vineland, il PEP-r e l’AAPEP).

Tale Valutazione Funzionale, che dovrà essere periodicamente aggiornata, ha lo scopo di:

 a) “differenziare”, mettendo in luce le aree di potenzialità, i diversi soggetti che rientrano nell’inquadramento diagnostico dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo;

b)  “orientare” l’intervento individualizzato;

c)  “suggerire” modalità e tecniche specifiche di intervento;

d)  “valutare” l’esito degli interventi.

Il lavoro terapeutico orientato allo sviluppo ed alla acquisizione di nuove competenze in setting strutturati presso i Servizi (SINPIA 2005) necessita, pertanto, per una garanzia di continuità e qualità nel tempo, della coordinazione operativa con la Famiglia e la Scuola, fondamentali ambienti naturali di crescita, educazione e sviluppo del bambino/a, e si deve fondare su obiettivi “funzionali” (comunicazione, abilità relazionali e sociali, autonomie) condivisi, verificati ed aggiornati nel tempo, atti a favorire un adattamento all’ambiente il più adeguato possibile del soggetto, secondo parametri di salute e benessere individuale (ICF).

Tale attività di coordinazione operativa deve però mantenere stabilmente nel tempo il proprio riferimento al concetto iniziale di “valutazione”, basandosi su indicatori precisi su cui “misurare” la qualità e su cui fare una buona ricerca scientifica nel contesto di una raccolta sistematica delle documentazioni sulle esperienze e sulle buone prassi (D. Ianes, 1999).

Il riconoscimento dell’appropriatezza, dell’efficienza e soprattutto dell’ efficacia degli interventi realizzati si dovrà infatti sempre più fondare su confronti di risultati conseguiti in termini di adattamento sociale e di vita qualitativa dei soggetti autistici, dando sempre più spazio ai giudizi delle famiglie ( G. M. Arduino 2005, L. Cottini 2005).

Quindi non si può che convenire in modo pieno e convinto con l’articolata riflessione di Patrizia e Tiziano Gabrielli quando sostengono che l’intervento educativo nella scuola dovrebbe favorire, in particolare:

  • l’acquisizione di un linguaggio(in qualunque forma possibile, privilegiando quello verbale, non verbale, corporeo, scritto ecc.);
    • lo sviluppo delle capacità percettive e di esplorazione dell’ambiente;
    • la promozione di competenze strumentali di base;
    • la partecipazione attiva alla vita del gruppo classe;
    • l’avvio alla socializzazione nel gruppo e all’esterno della scuola.

Il successo di questo intervento è sicuramente facilitato da un inserimento educativo precoce alla scolarizzazione da parte del bambino autistico, nonché dalla competenza di tutti gli operatori coinvolti, che devono essere persone preparate e motivate sotto il profilo relazionale, della conoscenza della patologia e delle strategie pedagogiche ed educative ad essa applicabili. Ciò consente di poter supportare anche i casi più “severi”, caratterizzati dalla presenza di comportamenti disturbanti come, ad esempio, aggressioni e autolesionismo. In tal modo la scuola, gli insegnanti e i compagni, saranno in grado di accogliere con maggior serenità, e in modo propositivo, “l’amico speciale”.

Mancando di opportune conoscenze esiste, viceversa, il rischio che l’operatore finisca frequentemente per trasformarsi in una sorta di pseudoterapista, che ripropone a scuola modelli di lavoro emarginanti, tali - in ogni caso - da non permettere di cogliere tutte le potenzialità che possono derivare dalla "costruzione" di un contesto integrato.

Condizioni pregiudiziali al raggiungimento dell’obiettivo della piena integrazione scolastica sono, in particolare:

  1. 1.   disponibilità affettiva e comunicativa degli insegnanti, di cui è necessario assumano personale e piena responsabilità;
  2. 2.   fiducianell’ottenimento degli obiettivi che debbono essere quanto più possibile concreti;
  3. 3.   coinvolgimento di genitori e familiari, che devono realizzare una continuità di obiettivi e strategie anche in casa. E’ necessario partecipare, come genitori, alla stesura del progetto educativo‑pedagogico dei figli, un progetto individualizzato realistico e condiviso. Anche l’insegnamento dovrà essere condiviso (perfino formulato insieme ai genitori), esplicito, flessibile, utile nel metodo e nei tempi.
  4. 4.   lavoro di rete, di coordinamento e di integrazione degli interventi. L’ottica essenziale è quella delle sinergie tra dimensione clinica, familiare e organizzazione interna della scuola.

I mondi della ricerca clinica e pedagogica e della prassi didattica non possono più essere separati. Occorre definire un rapporto stretto e sinergico tra le conoscenze in campo scientifico. in campo medico e psico‑pedagogico e quanto si sperimenta giornalmente all’interno delle aule scolastiche, in modo da superare possibili separatezze.

 

Condividi su

FacebookTwitterGoogle BookmarksLinkedin