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L'identità invisibile

Scritto da Super User. Postato in Libri

Questo libro è la storia della identità tra Cristo e Gabriele, cioè fra un profeta messo in croce e uomo autistico di trent’anni. Gabriele si riconosce in “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E non potrebbe essere altrimenti. L’identità invisibile di Gabriele non è, infatti, molto diversa da quella di Gesù Cristo, nel momento più supremamente umano della sua vita di profeta, quando dice: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni…».

Dopo che la mamma ha sopportato fatica e solitudine, il ragazzo viene ‘internato’ in una comunità alloggio. Egli porta cucito addosso il numero 155, con cui siglano tutte le sue cose. Gabriele si sente il numero 155: “Sono solo un numero. Ovunque mi giri, è attaccato a me. Vedi?”. Porta addosso anche il dolore di non essere padrone di interpretare le proprie emozioni. La sua storia è illuminata dalla ricerca continua dei suoi genitori, dalla voglia di migliorare, dal desiderio di vivere cose nuove, dalla gioia di mangiare al ristorante e di bere il caffè al distributore automatico.

Il libro scritto da Gianfranco Vitale, papà di Gabriele, riesce a trasformare l’invisibilità; vi si comprendono la fatica del padre e le emozioni del figlio, quasi che l’identità invisibile possa trasformarsi in identità visibile.

Ma il secondo vero protagonista della storia di Gianfranco Vitale, dopo Gabriele, è lo Stato: le persone deputate a fare chiarezza sul difficile destino accaduto al ragazzo sono spesso mosse dall’indifferenza, e sono gravemente scoordinate fra loro. E dunque il libro rende visibile l’invisibilità di Gabriele, ma anche l’insensibilità, la routinarietà di una pubblica amministrazione che agisce senza entusiasmo: una realtà dolorosa, che è in grado di fare male. Fa male come quelle botte immotivate che arrivano di tanto in tanto, fa male come le domande senza risposta che lancia Gabriele: “Che vita è la mia?” In tale situazione, il padre si chiede: “Quanto avrei potuto resistere? Quanto avremmo potuto resistere?

Certamente pensavano a Gabriele i nostri padri costituenti, quando imperniavano gli sforzi della Repubblica sull’articolo tre: è necessario che lo Stato lavori per superare ciò che limita di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Parlava per Gabriele, Piero Calamandrei, quando supplicava gli studenti di Milano, in un celebre discorso, di accollarsi il duro lavoro di far sì che lo Stato sostenga i portatori di disuguaglianza. In questo libro, invece, il grande assente è lo Stato: ha tradito il supremo compito di condividere la fatica di un padre nel “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.

Gabriele, invece, fa “doni enormi”, proprio lui che “di doni ne ha ricevuti pochi”. Ed è vero. Nel mio lavoro di insegnante, ho potuto sperimentare molte volte i “doni enormi” che effettivamente il diversamente abile porta al resto della classe. Le competenze funzionali utili alla vita che il gruppo acquisisce sono tante, in questo percorso di reciproca integrazione, dove hanno valenza formativa anche tutte le altre differenze: differenze spaziali rappresentate da ragazzi di altri continenti, italiani di varie Italie, differenze temporali nell’età, differenze culturali e sociali. I soggetti, nelle loro eterogeneità, corrispondono fra loro incrociando a metà del cammino le loro diversità: è un incontro biunivoco; è una corrispondenza, nel senso etimologico del termine (cum e respondere, che non sta per “rispondere a” ma per “rispondere con”, cioè trovare un accordo comune in un percorso comunicativo). L’esperienza di questa “corrispondenza”, alla quale si deve profondamente credere, contro ogni pregiudizio o pigrizia pedagogica, non può che tessere, dunque, l’acquisizione di competenze straordinariamente interiorizzate: vi è un quotidiano allenamento a comprendere gli altri, a risolvere situazioni di crisi, a conoscere l’emotività propria e altrui, la grande avventura di variare i linguaggi, compresi quelli del gesto e del sorriso, l’affettività come strumento comunicativo privilegiato.

Così anche è facile, nella mia esperienza, riconoscere che il fondamentale ruolo delle diverse componenti dello Stato giochi una partita determinante nel benessere o nel malessere di tutti. Ho sperimentato che basta una sola operatrice illuminata a trasformare una situazione di sofferenza per molti.

Gabriele, dunque, è come il Cristo degli abissi, la statua che è stata collocata sotto il mare, nella costa tirrenica italiana. Il padre di Gabriele scrive il libro, e riesce a portare Cristo fuori dagli abissi, riesce a farci toccare l’identità di Gabriele, a scioglierla – per il tempo di queste pagine – dall’invisibilità perpetua, a cui è ancorata la sua identità. Si palesa la gioia del ragazzo, la sua speranza che non si placa mai, che nessun maltrattamento subìto riesce a sopprimere, sebbene a essere incrinata sì, come le sue costole, colpite per l’atterramento da parte di un operatore.

La scrittura di Gianfranco Vitale ti dà il senso dell’immediatezza delle cose, di come esse accadono. L’unico lieto fine che sembra auspicabile è di restituire a Gabriele quel che è possibile della sua vita, con l’attenzione che lo Stato gli deve, cioè servendo la causa affidata con “disciplina e onore” (Costituzione, articolo 54).

 

Recensione di Francesca Vian: https://fondazionenenni.blog/2019/10/17/le-identita-invisibili-fra-noi-e-lindifferenza-dello-stato/?fbclid=IwAR1q74zkWN80n46Z9ap_VpY7kHNmTwpUqsS349Xo1qmzLmKC03FPyq-tBQw

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