Questo libro ha al centro la mia esperienza di padre di un ragazzo autistico. Ho cercato di raccogliervi i fatti più significativi, che si sono succeduti nel corso di questi ultimi anni e di raccontare i sentimenti più profondi e nascosti che hanno segnato il mio legame con Gabriele.

L'handicap visto dalla parte di un genitore e non attraverso la fredda analisi dello "studioso". Un viaggio nell'inferno di un mondo troppo spesso lontano dagli interessi della società. Per comprendere meglio, per non rimuovere in fretta episodi che non devono essere relegati nella sfera del privato, per non cadere nella rassegnazione e nella disperazione!


Se la parola “carità” non fosse stata distorta nel suo vero significato da millenni d'ignoranza, se avesse negli uomini mantenuto integri i gesti che avrebbero dovuto accompagnarli nei sentieri della vita, in questo momento l'userei. Ma la “carità” è stata annullata totalmente in gesti sporadici e distratti che non le appartengono, è divenuta sinonimo di misera pietà, e fra l'altro fugace. Non è più la parola che indicava l'amore per il prossimo racchiuso in abbracci di compartecipazione e in evoluzioni di comportamento e azioni costruite sulle basi della tenerezza, per dare a tutti il diritto alla dignità del vivere. Ed è per questo che non posso usarla, per non essere fraintesa da tutti coloro (e sono tanti, troppi) che ne hanno perso il senso.

Ma nel libro “Io e Gabriele” quanta tenerezza c'è! Quanta dignità! E c'è da inchinarsi perché nascono dal dolore. Ed è nel dolore che si scende negli inferi dell'inumana società e solo per capire che ci si può sollevare anche da questo, con la forza di ali che apparentemente, e solo apparentemente, sembrano delicate come quelle di una farfalla.

A modo mio, nei miei libri, lotto contro il concetto distorto che si ha della diversità e del “diverso”. Per me il “diverso” non esiste. E' solo il risultato di statistiche, che sono numeri, e i numeri non “sentono”, non “ascoltano”. Se nel mondo ci sono (è un esempio) un miliardo di persone in piedi e 100 persone sedute su una sedia a rotelle, il “diverso” è il 100. Se capovolgiamo i termini e diciamo che nel mondo un miliardo di persone sono su una sedia a rotelle e 100 persone in piedi, è sempre un 100 ad essere ”diverso”. Numeri: la minoranza. E la minoranza sembra non avere voce nella voce dei miliardi. 

Affermo questo con coscienza e non con superficialità, perché in me la negazione del “diverso” non vuol dire negazione dell'individuo e dei bisogni dell'individuo. Tutti gli esseri umani (fino a prova contraria, del tutto improbabile) sono individui, uguali nei diritti, ma con caratteristiche e a volte patologie differenti. Ed ogni individuo dovrebbe essere tenuto in considerazione in base ai propri bisogni, alle necessità legate al suo stato di uomo. Solo se riuscissimo ad intraprendere il cammino di queste parole potremmo aprire un varco nelle negligenze che distolgono gli occhi, e non solo, da chi si trova ad affrontare situazioni precarie, difficilissime. 

Non voglio prolungarmi oltre su questo concetto, non è il caso di soffermarmi su una narrazione che deve ancora avvenire. Voglio invece parlare di Gabriele (figlio) e di Gianfranco (padre).

Il disagio della vita di Gabriele diviene il disagio della vita di Gianfranco, e questo perché soli. La società, le istituzioni, le strutture sono punti precari che non offrono appigli validi, e vengono a modificare perfino la società più vicina a Gabriele, la piccola società della famiglia, la quale si disgrega nel difficile, dando origine a comportamenti che brancolano intorno a Gabriele stesso.

Sul filo di avvenimenti esce fuori la patologia che affligge il giovanissimo Gabriele. Le riflessioni assumono a carattere particolare, registrano come cronache dolenti (come quelle che intervallano non a caso nel libro stesso periodo da periodo) la scomparsa di illusioni e la ricostruzione di altre. S'impregnano di ricordi in un verismo che sconcerta, disorienta, eppure trasmette i valori di una vita educata nel mutamento del rapportarsi con gli altri, con “l'altro”.

“Io e Gabriele”, scritto da Gianfranco Vitale ed edito da Luigi Pellegrini, è un libro per smemorati, per coloro che non ricordano che qualsiasi dolore è sempre un dolore, e il dolore è più di un lutto, ma come nel lutto ha bisogno di sostegno, di aiuti tangibili. E' un urlo tenerissimo ma straziante quello che si leva dalle righe scritte da un uomo che apre la sua vita agli altri, perché gli altri possano capire ed aiutarlo a costruire una società nuova, dove Gabriele, o un qualsiasi Gabriele, possa assicurarsi la proclamazione del diritto alla vita nella piena dignità del vivere. 

E' estremamente importante leggere “Io e Gabriele” con il senso del tempo (il nostro) che ha determinato processi involutivi nella storicità di un disagio, e questo per i domani che verranno, per cercare di influire su futuri provvedimenti istituzionali - politici che sembrano non provare disagio nel considerare il “100” un numero, ma di trovare tante difficoltà nel ritenere giusto il bisogno di un individuo, di tanti individui, che numeri non sono, bensì uomini.

Tutti noi possiamo riacquistare la solidarietà civile, sociale, morale, per fare in modo che i livelli del nostro tempo si caratterizzino in situazioni in positivo per chi, come il padre di Gabriele, si trova ad affrontare una vastità enorme come gli abissi marini, e non è civile, o umano, lasciarlo attaccato solo alla fragilità del dolore, soprattutto se dolore di un figlio.

Patrizia Altomare

  


 

Gabriele, il silenzio della società

La lotta d’amore del padre d’un ragazzo autistico diventa denuncia contro le strutture inadeguate.

 

Quello di Gianfranco Vitale (“Io e Gabriele”, Luigi Pellegrini Editore pp.l75 13 euro), è un libro che causa sofferenza: dice il senso di impotenza di chi è convinto - e giustamente - che l’amore sia la forza capace di cambiare il mondo e lo dice senza boria ad un mondo che preferisce misu­rare il suo progresso sulla tecnologia piuttosto che sull’umanizzazione.

Un padre racconta la rela­zione delicata con un figlio autistico, Gabriele, che vor­rebbe condurre ad una sorta di autonomia. Chiede aiuto ai familiari, ai vicini, alla chiesa, alle strutture addet­te all’handicap, una sorta di carrozzone votato per statu­to alla cura del limite e... non l’ottiene. Talvolta fa da schermo l’invisibilità degli interlocutori, altre volte la pesantezza della macchina, altre volte una certa presun­zione degli stessi operatori del settore. O semplicemen­te, lo strumento che dovreb­be sollevare la famiglia da un compito che la supera, la colpevolizza.

Una struttura tende a pro­muovere anzitutto se stes­sa, non tanto a raggiungere gli obiettivi per cui è nata. L’osservazione applicata al campo dell’handicap, o del­la riforma sanitaria o in generale delle istituzioni umanitarie, toglie davvero speranza. Una struttura ricorre a tutti gli

strumenti per avere sussidi, per aumentare l’or­ganico, per ottenere agevola­zioni.

Raggiunge lo scopo per cui è sorta? Un’azienda ospe­daliera non è detto che ab­bia sempre chiaro che è sorta per servire il malato e non per distribuire stipendi.

Il libro non è anzitutto una denuncia, perché è un atto di amore verso Gabrie­le, ma diventa anche denun­cia perché rivela una socie­tà, la nostra, dalle alte di­chiarazioni e dalle modeste realizzazioni.

L’autore inquadra ogni ca­pitolo in un contesto di cronaca, detto «storie di­menticate», contesto che dà profondità alla sua vicenda familiare. La rende più che familiare; e mostra che i limiti non sono di questo o di quello, ma semplicemen­te dell’uomo.

Mentre scorrevo le pagi­ne di «Io e Gabriele» con profonda commozione, mi veniva in mente che gli antichi romani al momento della sepoltura gettavano nella fossa una manciata di polvere, dicendo “sit tibi terra levis”, che la terra ti sia leggera. Almeno in mor­te. Ma in vita si può diffon­dere un po’ di sana leggerez­za attorno a noi, in modo che l’esistenza conosca quel­la levità che la fa apprezza­re come dono.

Un tema che attraversa tutto il libro è quello della «normalità». Esiste nella no­stra società una sorta di complicità nel creare distan­za tra normalità e anormali­tà: il mito della bellezza fisica, al quale si sacrifica un po’ tutto. Spesso di una donna si dice che è bella se lo è fisicamente, magari con i tre numeri delle tre misure standard in regola. Il mito esclude. Possiamo con mol­ta superficialità contribuire all’esclusione.

Il libro di Gianfranco Vita­le fa pensare. Si preferireb­be essere coinvolti dalla bel­lezza. In questo caso il coin­volgimento è dato dal dolo­re, che rivela che siamo fatti male. Ma anche che si può cambiare.

Don Piero Gallo

 


Se conoscete la frustrazione dell’impotenza, se non vi rassegnate alla prevaricazione e all’indifferenza, leggete “ Io e Gabriele”, di Gianfranco Vitale. 
Una prosa scarna ed essenziale vi accompagna attraverso il racconto delle sofferenze di un giovane autistico e del padre appassionando come un romanzo di avventure e regalando vita e anima ad un microcosmo di personaggi familiari a chiunque abbia condiviso il tragico destino di tutti i Gabriele, dai genitori ostinati e disillusi ai comprimari che inafferrabili e distanti come meteore ne attraversano il cammino , dalla nonna che esorcizza il rifiuto con la accuse meschine , alla sorellina tenera e crudele nella sua consapevole innocenza, agli operatori del centro vanamente armati di una sollecitudine distratta contro un nemico indomabile.
Se, come l’autore, avete un figlio autistico, leggete questo libro per trovare la forza di risollevarvi dopo ogni sconfitta, per difendere la speranza di un futuro migliore dalle lusinghe della rassegnazione o dell’utopia. Leggetelo per non annegare nell’autocommiserazione, per non dimenticare i derelitti, qualunque sia il fardello che li opprime, per sublimare il rancore in una più profonda umanità. E se non avete un figlio autistico, leggetelo per comprendere, con il cuore e con le viscere, il significato delle parole discriminazione, solidarietà, sacrificio, dignità.

Donata Vivanti

Presidente di Autismo Italia - Vicepresidente di F.A.N.T.A.Si.A. (Federazione delle Associazioni Nazionali a Tutela delle Persone con Autismo e Sindrome di Asperger) - Vicepresidente e membro della Giunta Esecutiva della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell'Handicap)

 

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