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Noi persone disabili non siamo “fortunate” ad avere un partner

pasionaria.it       

disabili e relazioni amorose

Le persone disabili sono spesso sottovalutate e oggetto di basse aspettative, soprattutto quando si tratta di disabilità percepite come significative.

È una visione distorta che ha spesso effetti anche su chi è amic*, partner e familiare di una persona disabile, insomma in generale sui loro affetti, che vengono celebrati. I genitori diventano “poveri genitori che si sacrificano”, fratelli e sorelle vengono dipinti come “tanto car* a passare del tempo insieme al loro familiare disabile” e le amicizie vengono scambiate per generosità e volontariato.

Questo tipo di narrazione è ancora più spiccata quando si tratta di partner (non disabili), dato che nella nostra società le relazioni romantiche di coppia occupano un gradino più alto rispetto agli altri tipi di relazioni.

Compagni, mariti, mogli delle persone disabili visti attraverso le lenti dell’abilismo diventano persone eccezionali, generose e degne di ammirazione. È un’esperienza comune de* partner senza disabilità sentirsi dire che sono delle “brave persone” per stare con una persona disabile

Le persone con disabilità che sono loro partner, invece, si sentono definire “fortunate” ad aver trovato un* partner che “va oltre l’aspetto fisico” (espressione che esplicita che la disabilità è ritenuta qualcosa che rende non attraenti, o che impedisce una componente fisica nella relazione).

Sono reazioni che tradiscono la prospettiva secondo cui amare una persona disabile è un atto di carità e farci sesso è una cosa strana.

Non è poi raro un interesse morboso su come le persone disabili fanno sesso: una domanda diffusa soprattutto nei confronti di chi usa una carrozzina, tanto che viene da chiedersi se alcune persone credano che chi usa una carrozzina ci viva incollat* sopra 24 ore su 24.

Capita anche che si associ automaticamente a una relazione con una persona disabile il “doversi occupare di lei”. Da una parte non si concepisce che esistono vari strumenti per essere autonom* e indipendenti, ma soprattutto si dà un’accezione per forza negativa al caregiving (il prendersi cura) nei confronti di una persona disabile da parte del* partner abile (non dimentichiamo che c’è anche chi per scelta si fa assistere dal* propri* partner).

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Chi non rispetta la Convenzione ONU viola una Legge dello Stato

superando.it

Quale differenza c’è tra sottoscrivere e ratificare una Convenzione dell’ONU? E ancor prima, che cos’è esattamente una Convenzione dell’ONU sui Diritti Umani? A quattordici anni dall’adozione della Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità e a undici dalla ratifica di essa da parte dell’Italia, riproponiamo una serie di elementi fondamentali, per capire ad esempio perché gli Stati Uniti, che hanno sottoscritto ma non ratificato il Trattato, non sono legalmente vincolati a rispettarne gli obblighi, mentre nel nostro Paese chi non li rispetta viola una Legge dello Stato

25 agosto 2006: approvazione alle Nazioni Unite della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità

Una Lettrice ci ha scritto in redazione, segnalando che dagli elenchi degli Stati che hanno ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, da noi periodicamente aggiornati, risultano mancanti gli Stati Uniti, nonostante il 30 luglio 2009 gli USA abbiano sottoscritto tale Trattato durante l’Amministrazione Obama.
Abbiamo quindi spiegato alla Lettrice stessa la differenza tra ratifica e sottoscrizione, sentendoci giustamente sollecitati ad esporla a tutti i Lettori, alla luce anche dei molti anni ormai passati dalla definizione della Convenzione, processo che tra il 2005 e il 2009 il nostro giornale seguì passo dopo passo, anche con varie corrispondenze dirette da New York (si veda nella colonnina a fianco l’elenco dei principali contributi da noi proposti in quegli anni).

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La differenza tra nascere vivi e sopravvivere

superando.it    Zoe Rondini

Ci sono molti genitori di persone con vari tipi disabilità che trovano nei figli motivo di andare avanti, creando Associazioni per dar loro e a tante altre persone un aiuto concreto. Molti familiari fanno ciò anche per sopperire agli aiuti irrisori che lo Stato offre alle persone non autosufficienti e alle loro famiglie.
Spesso è il nucleo familiare, o uno dei due genitori, che si adopera per il rafforzamento delle capacità residue o che vince la rassegnazione ai limiti imposti forse dalla biologia. Sempre invece per problematiche o incapacità dei familiari, alcune persone con disabilità si ritrovano nelle tristi situazioni di qualche istituto fatiscente. Ho conosciuto da vicino queste realtà poco decorose di un importante istituto e di una casa-famiglia nel corso di due diversi tirocini…

Per fortuna ci sono molti genitori che, come dicevo, creano Associazioni e realtà di cohousing, ciò che comporta una speranza nel “Durante Noi” e per temere di meno il “Dopo di Noi”. Tutto queste non vuol dire che per tali famiglie la nascita di un bimbo o di una bimba con disabilità non determini rotture, sensi di colpa, paure e frustrazioni, ma alcune persone sono in grado di andare avanti e, per dirla in termini pedagogici, trovano la forza di trasformare un handicap in una risorsa, reagendo bene e potenziando al massimo le capacità residue del bambino che da grande dovrà e potrà, se pur con non poca fatica, trovare il proprio posto nel mondo.
C’è anche da considerare che i figli arrivano ad un certo punto della vita dei genitori che fino a quel momento era stata “normale”. Spesso, quindi, la vita di quei figli comincia nel peggiore dei modi e lascia delle conseguenze che si possono di certo migliorare, ma che non si potranno mai cancellare del tutto.

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“Ma che bisogno hanno i disabili di lavorare? Non prendono la pensione di invalidità, beati loro…?”

https://www.disabili.com/lavoro/articoli-lavoro/ma-che-bisogno-hanno-i-disabili-di-lavorare-non-prendono-la-pensione-di-invalidita-beati-loro?fbclid=IwAR1tGIyh2-hAN2BpTeeeKHCqTlSXyF_p2ehbkF9a-iO7XoVgW1kwUmHS1IA

rettangolo rosso in mezzo a cilindri verdi

“Ma che bisogno hanno i disabili di lavorare? Poveracci…”
“Chi glielo fa fare? Non prendono la
pensione di invalidità, beati loro…? E devono venire a togliere il lavoro alle persone normali?”
“Secondo la legge le aziende hanno l’obbligo di assumere un disabile…ma è una cosa giusta? Per le aziende, intendo…”.

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L’importanza di avere una sorella che mi comprende

superando.it    Zoe Rondini *

L'immagine è di Christopher Clark, “Two Sisters” (“Due sorelle”) 

Christopher Clark, "Two Sisters" ("Due sorelle") (©christopherclark.com)L’indifferenza e l’arroganza sono atteggiamenti che in molti casi noi persone con disabilità abbiamo imparato a conoscere e a riconoscere e con i quali troppo spesso abbiamo a che fare. Io li ho scoperti ben presto, ai tempi della scuola, a causa di un contesto particolarmente avverso. I legami forti, però, con chi ti vuole davvero bene, aiutano a cavarsela negli àmbiti più ostili. Ecco quindi che mi ritengo una persona molto fortunata, perché ho una sorellaPer lei nutro un affetto profondo: spesso sento l’esigenza di telefonarle, di confidarmi, di stare in sua compagnia. Si tratta di una sintonia che provo con poche persone “speciali”. Sono felice e non stupita. Da lei mi sento compresa, ascolto ben volentieri i suoi consigli, riconosco che parla con il cuore, mi conosce e mi vuole bene.

 

Ormai siamo due ragazze, due donne, i nove anni che ci separano non si sentono più. Siamo amiche e confidenti. Ci piace viaggiare, andare al cinema, a teatro, visitare i musei e fare shopping.

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