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Chi ha chiesto a quella donna se voleva vivere in una struttura residenziale?

superando.it  Simona Lancioni

Didier Lourenço, “The Secret” (“Il segreto”), opera della collezione “Mujeres Invisibles” (“Donne invisibili”)

Didier Lourenço, "The Secret"

Il contrasto alla violenza nei confronti delle donne con disabilità deve considerare sia la violenza di genere, che scaturisce dallo squilibrio di potere tra uomini e donne, sia la violenza abilista, ingenerata dallo squilibrio di potere tra le persone con disabilità e le altre. Infatti, le donne con disabilità, essendo simultaneamente sia donne che persone con disabilità, sono esposte ad entrambi i tipi di violenza.

Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di occuparci, su queste stesse pagine, di un recente fatto di cronaca accaduto ad Asola, un Comune in provincia di Mantova. Torniamo ad occuparcene per mettere in luce un paradosso insito alle attuali modalità di risposta alla violenza.
Il fatto cui facciamo riferimento riguarda una donna con disabilità motoria che, per quattro anni, ha subito maltrattamenti e violenze fisiche ad opera della sorella convivente. Quando gli anziani genitori (anch’essi conviventi) uscivano di casa, la donna con disabilita subiva maltrattamenti, mortificazioni, minacce di morte e percosse da parte della sorella, determinata a “persuaderla” a trasferirsi in una struttura per disabili. La vittima non ha mai chiesto aiuto.
A dare una svolta alla vicenda è stata un’operatrice inviata dal Comune per aiutare la donna con disabilità nell’igiene personale che, notando i lividi sparsi su tutto il corpo della donna, ha segnalato il caso ai Servizi Sociali i quali, a propria volta, hanno avvertito i Carabinieri e la Procura di Mantova. Questo ha messo in moto la procedura che ha portato, in meno di ventiquattro ore, all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per l’autrice dei reati.

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Caregiver familiari: nel regno dell’indefinito e dell’ambiguità

superando.it

Statua di Atlante

Conserva tutta la sua validità il paragone proposto a suo tempo su queste stesse pagine da Giorgio Genta, che aveva affiancato ai caregiver familiari la figura di Atlante, il personaggio mitologico condannato dal dio Giove a tenere sulle spalle l’intera volta celeste

Sta nelle righe conclusive di un approfondimento curato dal Servizio HandyLex.org, il senso dell’attuale situazione dei caregiver familiari – coloro che si prendono cura in modo gratuito, continuativo e quantitativamente significativo, di familiari del tutto non autosufficienti a causa di importanti disabilità – quando cioè si scrive che nell’attuale «quadro complessivo appare quanto mai evidente l’urgenza di una norma quadro che però fissi», per gli stessi caregiver, «oltre a livelli essenziali di assistenza con relative risorse (non certo 25 milioni l’anno) diritti lavorativi, previdenziali, assicurativi congrui ed equi».

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Educare bambini con disabilità nella scuola, cercando di renderli adulti felici

superando.it  Paola Di Michele *

Classe di scuola primaria con un bimbo in carrozzinaLa notizia del momento è la scuola. E, in particolare, l’inclusione scolastica dei bambini con disabilità e tutti quei casi in cui non è stato loro concesso di entrare a scuola o dove, semplicemente, è stata ridotta la loro frequenza scolastica per mancanza di insegnanti di sostegno o di assistenti all’autonomia e alla comunicazione.
Sulle testate giornalistiche è stata nei giorni scorsi la “notizia” del momento, come se si trattasse di uno scoop giornalistico riguardante qualcosa mai successo prima.
Personalmente ci ho ragionato a lungo, beninteso, per quel che può valere l’opinione di un’assistente all’autonomia e alla comunicazione.
È evidente che il piano del ragionamento non può essere quello legale. Nessun Dirigente Scolastico, infatti, metterebbe mai per iscritto una richiesta del genere, perché è più che evidente che, rifiutando la possibilità di frequenza scolastica a un bambino/bambina con disabilità certificata, si incorre in una violazione gravissima del suo diritto costituzionale all’istruzione, senza se e senza ma.

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Non si possono mai minimizzare o giustificare gli omicidi

superando.it     Simona Lancioni*

Karin Peeters, "Desperate" (©2006 Karin Peeters)

Non avrei voluto tornare sul tema dei/delle caregiver che uccidono le persone con disabilità di cui dovrebbero curarsi. Mi pesa molto doverlo fare. Ma c’è stato un nuovo caso qualche giorno fa a Napoli, ed esso è stato ancora una volta accompagnato da un’interpretazione che massimizza la disperazione di chi compie il crimine e minimizza, o non vede proprio, il danno per gli uomini e le donne con disabilità che ne sono vittime. Da caregiver non posso condividere questa lettura, e temo che essa possa incoraggiare l’emulazione di questi gesti.

Partiamo dai fatti, o sarebbe meglio dire dalle cronache riportate nei siti dei giornali. Uccide un figlio e ferisce l’altro nel sonno: tragedia nella notte a Napoli, è il titolo dell’articolo pubblicato sul sito del «Mattino» (cronaca di Napoli), il 30 agosto scorso.
Stando all’articolo, Giuseppe P., di 88 anni, pensionato, ha tentato di uccidere nel sonno i suoi due figli con disabilità sparando loro con una pistola illegalmente posseduta. Il fatto è avvenuto nel quartiere di Soccavo, alla periferia di Napoli. Il figlio più piccolo, 47 anni, interessato da una grave disabilità mentale e con necessità di assistenza continua, è stato colpito alla testa ed è morto sul colpo. L’altro, di 51 anni, con una disabilità lieve, ha riportato qualche ferita al braccio e non sarebbe in pericolo di vita.

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Ma perché dover dichiarare la propria fragilità per ottenere rispetto?

superando.it

Nella foto Francesca Masi insieme al figlio di 10 anni

Francesca Masi insieme al figlio di 10 anni

«Ho 45 anni e sono reduce (termine scelto con cognizione, lo stesso che si usa per i soldati dopo una guerra) da un trapianto di midollo da donatore. Cioè un estraneo si è fatto infilare un ago in un osso da dei medici per prelevare il midollo osseo che poi altri medici avrebbero infuso a me per guarirmi da un cancro nel sangue. Un gesto di solidarietà umana enorme!»: inizia così l’appello che Francesca Masi affida alla sua pagina Facebook e che, mentre scriviamo, ha già superato le 10.000 condivisioni.
Le sue maggiori preoccupazioni sono suscitate dalla prossima riapertura delle scuole: «Adesso sono a circa 50 giorni dal trapianto e sono ancora molto fragile, sono una paziente immunodepressa (con le difese immunitarie, cioè quelle cellule che ci proteggono dalle malattie, che hanno valori molto bassi nel sangue). Ho un bimbo di 10 anni che tra pochi giorni dovrà andare a scuola. Vista la mia situazione, se i compagni o gli insegnanti (spero proprio che non accada!) non indossano la mascherina e non prendono le precauzioni che ormai conosciamo tutti a tutela del contagio da Covid, io rischio la vita. E lui questo lo sa».

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