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Disabilita'. La vita in istituto equivale a una forma di segregazione?

fonte "Redattore sociale"

Se ne parla nel primo numero del 2019 della rivista Welfare Oggi, diretta da Gianfranco Marocchi. A confronto due tesi: chi considera il concetto di segregazione poco produttivo e chi ne riafferma l'utilità per far uscire dall'ombra un sistema di servizi indegno del nostro Paese e talmente disomogeneo da non garantire certezza di trattamento. 

 

Le classi differenziali e le scuole speciali in Italia non ci sono più dal 1977. La chiusura dei manicomi risale all'anno successivo. Due eventi che hanno portato a un graduale miglioramento della vita delle persone con disabilità nel nostro Paese. Nonostante questo sono ancora tantissime quelle che vivono in istituti, spesso isolate dal resto della società. 
Ma la vita in un istituto equivale a una forma di segregazione?

È la domanda da cui parte il focus del primo numero del 2019 di Welfare Oggi, rivista dedicata alle politiche sociali diretta da Gianfranco Marocchi. Il tema era già stato trattato nel numero 2 del 2018 attraverso un intervento di Giovanni Merlo che, insieme a Ciro Tarantino, ha curato il libro “La segregazione delle persone con disabilità. I manicomi nascosti in Italia” (Maggioli) che raccoglie l'esito di un lavoro svolto dalla Fish. La tesi di Merlo è che “una parte cospicua di persone con disabilità nel nostro Paese si trovi a vivere in luoghi che configurano autentiche forme di segregazione. Una distanza dalla comunità che richiama alla mente condizioni di vita di carattere "manicomiale". L'indicatore più significativo di tale rischio è costituito dal concentrarsi di persone adulte con disabilità intellettiva e autismo, co-morbilità psichiatrica e "comportamenti problema" in strutture di grandi dimensioni e in situazioni in cui sono assenti progetti personali rivolti alla qualità della vita delle persone e dove c'è evidente prevalenza di interventi farmacologici e di mera assistenza”. Da questo lavoro si è sviluppato un dibattito che vede contrapporsi posizioni diverse.

“Il concetto di segregazione è poco produttivo”. Questa è la tesi di Roberto Franchini, autore dell'articolo pubblicato a pagina 13 di Welfare Oggi (“Visione, valori e pratiche: le parole chiave della disabilità”), secondo il quale questo concetto è influenzato da una “ideologia del sociale” opposta alla “ideologia della salute” ma che condivide con questa una visione parziale della persona. “Non è detto – dice Franchini – che la relazione/inclusione sia sempre e comunque l'obiettivo primario, giacché approcci diversi, come quello della qualità della vita, mettono in luce una pluralità di sfere (la partecipazione, il benessere, l'indipendenza) che, per ciascun individuo e nelle diverse fasi del ciclo di vita diventano preminenti”.

“La questione della segregazione è presente e decisiva”. Lo dice Carlo Francescutti in “L'importanza di superare logiche segreganti”, a pagina 19 di Welfare Oggi. “Le persone con disabilità vivono spesso in grandi istituti, soffrono di esclusione dal mercato del lavoro, risultano essere trascurate anche dal sistema sanitario e sono vittime di frequenti episodi di maltrattamento. A fronte di ciò, scrive, “parlare di segregazione è utile perché c'è, prima che un livello tecnico, un livello politico della questione: far uscire dal disinteresse, dall'ombra e dall'omertà un sistema di servizi indegno del nostro Paese e ancora talmente disomogeneo da non garantire certezza del trattamento e degli interventi realizzati”.

Oltre al dibattito sul tema della “segregazione”, su Welfare Oggi si parla anche di bambini stranieri con disabilità, di pregiudizi sul movimento cooperativo, delle nuove norme sulle occupazioni abusive di immobili e dell'appello per abolire la contenzione con un'intervista alla psichiatra Giovanna Del Giudice che è stata collaboratrice di Franco Basaglia nell'ospedale psichiatrico di Trieste dal 1971.

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