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Siblings vuol dire (solo) fratelli e sorelle

fonte disabili.com

Pubblico un estratto dell’intervento tenuto da Federico Girelli, Presidente del Comitato Siblings – Sorelle e fratelli di persone con disabilità (www.siblings.it), all’interno del Convegno “Famigli-abile” - Diritti, bisogni e aspirazioni organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità – Centro Nazionale Malattie Rare in collaborazione con Asmara Onlus tenutosi a Roma circa un anno fa.

L’intero contributo è scaricabile cliccando qui:
https://www.disabili.com/images/pdf/Girelli-Siblings.pdf

Circa vent’anni fa con una telefonata del mio (ora) fraterno amico Giulio Iraci è iniziata in Italia l’avventura dei “Siblings”. In quella telefonata Giulio mi chiese se volevamo incontraci per parlare di noi, non dei nostri fratelli con disabilità. Assieme alle altre persone che condivisero con noi quella prima esperienza di scambio e supporto reciproco decidemmo, grazie al consiglio di Anna Zambon Hobart, di chiamarci “Siblings” ovverosia “sorelle e fratelli”. Scegliemmo la denominazione inglese perché il termine siblings ricomprende sia il genere femminile sia il genere maschile, mentre in italiano il significato letterale di “fratelli” fa riferimento ai soli maschi.

La parola siblings dunque significa semplicemente “fratelli e sorelle”, non significa “fratelli e sorelle di persone con disabilità”: se oggi spesso viene utilizzata in questo secondo significato forse è un po’ colpa nostra che per primi abbiamo tentato di focalizzare il fatto che le famiglie ove vive una persona con disabilità si compongono non solamente di quest’ultima e dei suoi genitori ma anche dei suoi fratelli. Insomma si è voluto dire “ci saremmo anche noi: le sorelle e i fratelli e come tali ci piacerebbe venir riconosciuti”.

Quando si affrontano le questioni legate alle persone con disabilità ed alle loro famiglie non serve raccontare favole, ma occorre dotarsi di un saldo spirito di concretezza. Eppure trovo emblematica per il tema che ci occupa la fiaba portata sul grande schermo dalla Disney “Frozen. Il Regno di Ghiaccio”. A me lo ha fatto scoprire mia figlia Dora. Consiglio a tutti di vederlo. La vera protagonista del film è Anna, non Elsa: Anna passerà mille peripezie per poter stare assieme a sua sorella, per vedersi riconosciuto il proprio ruolo di sorella appunto.
Soprattutto parlate con i vostri figli, date loro fiducia. Ho sentito tante volte lo stesso racconto: un bambino solo in un corridoio buio, una luce trapela dalla porta socchiusa della stanza di mamma e papà, bisbiglii in casa, i nonni entrano nella stanza, gli zii entrano nella stanza, mamma e papà piangono, i nonni escono dalla stanza, gli zii escono dalla stanza, tutti con fare serioso. Perché? Non dovremmo essere tutti contenti? Finalmente è venuto a casa il fratellino… Che cosa succede? Perché nessuno mi dice niente?
Parlate con i vostri figli: capiranno, forse avranno già capito quando gli parlerete. A loro interessa solo poter essere fratelli.

Anche per evitare queste (inutili) angosce, ad esempio, il Comitato Siblings ha partecipato fattivamente alla scrittura delle "Linee Guida Multidisciplinari per l'Assistenza Integrata alle Persone con Sindrome di Down e alle loro Famiglie", adottate ufficialmente dall’Istituto Superiore di Sanità.
I fratelli per primi tengono a che i loro fratelli con disabilità possano avere una vita libera e dignitosa in una società pronta a conoscerli e ad accoglierli: presupposto ineludibile per l’attivazione di questo processo virtuoso è un’autentica inclusione a scuola, che porta beneficio a tutti gli alunni, non solo a quelli con disabilità. La forza prescrittiva dell’art. 34 Cost. non poteva trovare espressione migliore: «La scuola è aperta a tutti».

Lo ripeto: non serve raccontare favole, è tutto molto difficile.
Si fanno incontri disastrosi, ma si fanno anche incontri rigeneranti, preziosissimi, come è stato per la mia famiglia, ad esempio, conoscere persone come Giorgio Albertini.

Mi sorella Maria Claudia è una donna con Sindrome di Down di quarant’anni: non parla, non legge, non scrive, ha un’autonomia personale molto limitata. Non è sempre così, va detto: tante persone con la Sindrome di Down, se adeguatamente supportate, raggiungono un’autonomia accettabile e, in alcuni casi, possono anche aspirare ad inserirsi produttivamente nel mondo del lavoro.
Non è stato facile crescere assieme: né per me, né per gli altri miei due fratelli, né per i miei genitori, né tanto meno per Maria Claudia. Ma è stato altresì (ed è) meraviglioso. Parola di fratello.

Federico Girelli
www.siblings.it