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Il sogno di una Chiesa davvero aperta alla disabilita'

31 Gennaio, fonte blog Social Church Chiesa e periferie esistenziali - di Laura Badaracchi

In tempi di crisi sognare a occhi aperti non costa nulla, anche se con il calo di consumi si registra una discesa vertiginosa degli ideali e delle utopie, valori compresi. I cristiani, immersi in questa che papà Francesco definisce "cultura dello scarto", non sono autoimmuni e respirano questo clima. Di frettolosità, disattenzione, pressappochismo. Chi non corre resta indietro, travolto dagli ipercinetici. Succede anche in parrocchia, a messa, nei gruppi, nei movimenti. E visto che stiamo per entrare in quaresima, un evergreen come l'esame di coscienza non stona. Per mettere a fuoco abitudini consolidate e resistenti distrazioni nei confronti dei generici "altri". Che hanno volti e biografie interessanti se li chiami per nome. Pure se usi nomi di fantasia per tutelarne la privacy, i riferimenti ai fatti sono puntuali, non puramente casuali.

Prendiamo Pietro, un ragazzone di circa vent'anni che ha un deficit cognitivo. Gli piace stare vicino all'altare e cantare. Parla un po' da solo. Lo fa durante la messa di Pasqua e il parroco perde la pazienza: interrompe bruscamente l'omelia per andare in sacrestia a chiamare i carabinieri, che arrivano dopo qualche minuto e con una dolcezza infinita – hanno soltanto qualche anno in più di Pietro - lo invitano a uscire per prendere qualcosa al bar con loro. 

In un'altra parrocchia Mirko si prepara per ricevere la comunione circa dieci minuti prima rispetto al momento previsto: davanti all'altare, con le braccia protese per ricevere l'ostia mentre tutti gli altri fedeli sono ancora fermi nei banchi della chiesa dondola con il corpo, si guarda intorno e aspetta. Lo conoscono tutti, i sacerdoti lo sanno e sono attenti alle sue esigenze, ai suoi tempi sfasati. 

Ecco, sogno una Chiesa con le porte davvero aperte alle persone con disabilità. Porte mentali, affettive e reali, ovvero senza barriere architettoniche, con scivoli e volontari che di domenica accompagnino alla celebrazione le persone cieche che vogliono andarci. Con interpreti della lingua dei segni per le persone sorde. Con omelie sintetiche che tengano conto delle persone autistiche o con disabilità mentali. Vorrei che – come succede nelle comunità dell'Arca fondare da Jean Vanier mezzo secolo fa – si pensasse a sussidi e catechisti formati per includere chi ha una disabilità nei gruppi, meglio nella comunità parrocchiale fatta di relazioni autentiche, perché se il sacerdote ci chiama "fratelli e sorelle " ci sarà un motivo profondo.