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C’è vita nell’involucro della disabilità!

superando.it    Antonio Giuseppe Malafarina

La mia operatrice sociosanitaria mi guarda e dice: «Perché, tu che preoccupazioni hai?». Stavamo parlando di insonnia. Le stavo spiegando che molti giorni dormo solo tre ore. Che certe volte la notte è lunga a passare, come la vita. E, come la vita, mentre ti tormenti in cerca di un diversivo, lei passa lo stesso, beffarda. La gente percepisce le persone con disabilità prive di vita normale. È il caso di parlarne.

Mi vedi e pensi: «Caspita, che persona elegante!». In tanti mi collocano nell’area delle persone originali, curate, “stilose”. Ho un aforisma in proposito: la prima impressione rivela l’essenza dell’individuo quanto ne cela la storia. Non cercatelo fra quelli di Wilde, è mio.
Per le persone con disabilità allettate, al primo sguardo non viene di pensare a che cosa si svolga su quel letto prima e dopo quello sguardo. La persona emerge potentemente privilegiata nella sua impotenza, benché questo possa diventare elemento di ammirazione di fronte alle sue presunte capacità. Ed è questo che probabilmente enfatizza il mio costume. Il resto è irrilevante. Tu sei quello lì, ciò che ti circonda si perde fra il non riuscire a comprendere e il non volerlo fare.
Conversando, i più arditi azzardano domande sul trascorrere della giornata. Domande oneste che aiutano a rivelare un mondo racchiuso in un letto: dall’igiene al lavoro, dalla sessualità al cibo.
Le nubi un po’ si diradano, qualcuno si stupisce. Qualcuno si stupisce della sua stupidità. Il non capire subito non sempre è segno di mancanza di arguzia. Qualche volta è banalmente figlio primogenito dell’imbecillità.

In carrozzina il discorso è un po’ diverso. L’idea del movimento che la persona trasmette coincide con l’attribuzione di un certo senso di autonomia. La carrozzina diventa uno scranno, un trono, rispetto al letto. Erige a livello di persona capace, atta a compiere. Non si sa bene cosa, ma potenzialmente più abile che non abile. E se non abile tuttavia mobile. Trasportabile, quantunque condotta da altri. Sei più un qualcuno, anzi un qualcosa, che possiede, rispetto al ciò che non possiede. Nientemeno una persona con gravissimi problemi comunicativi è più mobile della stessa persona vista a letto. Senza notare che in entrambe le condizioni è totalmente alle dipendenze dei suoi assistenti.

Se sei in piedi perché la tua disabilità ti consente di praticare la posizione eretta, il tuo contesto umano ti rende interattivo rispetto alla popolazione: puoi interagire di più, fino a renderti grandemente molesto, come si teme di alcune persone con certe disabilità.
Nell’evoluzione dall’uomo orizzontale a quello in verticale, nell’immaginario collettivo l’homo dis-habilis cresce nella sua capacità interattiva con la comunità, buona o cattiva che sia. Ma in questo crescendo quale significato viene attribuito alla persona con disabilità?
La persona con disabilità interagisce con gli altri a seconda del punto di vista dell’osservatore. Ma l’osservatore raramente la prende in considerazione nella sua interezza di persona.

A letto svanisce la partecipazione alla vita dell’individuo. In carrozzina si avverte una partecipazione entro certi limiti. In piedi si arriva a una partecipazione relativa, totale o importuna a seconda delle situazioni. Ma c’è sempre quel “fardello disabilità” che ci portiamo sulle spalle.
O sei uno che se la sa cavare sempre, quindi che problemi hai? Oppure sei quello che non ha abilità, perciò sei così distante dalla vita degli altri che i problemi degli altri non ti riguardano.

Insomma, per la mia esperienza il nostro è percepito come mondo fatto di barriere da superare oppure di difficoltà che sappiamo superare benissimo. Non è così. Non siamo esseri impersonali.
Le mie notti insonni riguardano anche il mio lavoro, proprio come quelle della mia operatrice sociosanitaria. Il muovermi agevolmente in carrozzina non mi rende così straordinario dal superare senza lamentarmi il più banale dei mal di denti. Non è che perché certe persone con disabilità sono munite di particolare saggezza esperienziale, sono immuni dai dolori della vita. E non è che essendo immerse nei problemi relativi alla disabilità sono estranee a prescindere dalla questione della michetta che non è più quella di una volta.
C’è vita nell’involucro della disabilità. Non è un sarcofago. Non siamo mummie!

 

 

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