Colomba
 
Molto spesso quando si parla delle problematiche relative alla disabilità ci si sofferma soprattutto su aiuti importantissimi, come per esempio: ausili, posti disabili per l'automobile, attrezzature elettromedicali, terapie... Ma, oltre a questi aspetti, c'è anche la quotidianità della persona disabile e con quotidianità intendo il doversi vestire, fare la doccia, spostarsi dalla carrozzina, espletare funzioni fisiologiche. Questo per spiegare come sia importante dare sostegno anche alle famiglie dei disabili tramite contributi, che possano essere utilizzati per assumere personale per assistere il proprio figlio. Al momento ci sono contributi per i disabili che vivono da soli e pochi per chi vive in famiglia, ma, con disabilità gravi, non tutti ci sentiamo di andare a vivere da soli, pur avendo diritto alla nostra autonomia e a non gravare eccessivamente sui nostri famigliari. Se venissero dati più contributi anche a chi vive in famiglia, si potrebbe comunque sviluppare e sostenere una forma di autonomia. Ovviamente il contributo dovrebbe essere di una certa entità e non di 30 euro al mese, come nel caso della quota riconosciuta a Colomba, che serve giusto a pagare una pizza. Forse non si capisce che la posta in gioco è alta, perché si sta parlando non solo della salute della persona disabile, ma anche dei suoi familiari. Oggi, per nostra fortuna, anche con patologie gravi, viviamo più a lungo, ma questo vuol dire che i nostri familiari, con il passare del tempo, avranno anche loro un'età più avanzata e di conseguenza bisogno di più aiuti per preservarsi da eventuali problemi fisici. I miei genitori, ad esempio, che hanno avuto problemi fisici causati dalla mia gestione sono stati costretti a svolgere visite, fisioterapie e, in più, hanno dovuto comunque, nel frattempo, continuare ad occuparsi di me. Senza contare che, per poter fare visite e terapie in orari compatibili con la mia assistenza e rapidamente, hanno dovuto ripiegare sul servizio privato, dove, improvvisamente, come Mosé di fronte alle acque del Mar Rosso tutto si spalanca e le liste d'attesa scompaiono.
 
Con i contributi a cui ho diritto, non posso permettermi una copertura completa di un assistente e la mia famiglia deve per forza integrare; se si è disabili e si ha a disposizione un patrimonio simile a quello della famiglia reale britannica, ci si può garantire una vita migliore, altrimenti ci si deve adattare. Anche in tempo di pandemia la musica non è cambiata: nei vari DPCM vengono dati alcuni aiuti ai disabili che lavorano, che abitano da soli, oppure che vivono in strutture semi residenziali. Insomma, si dà la precedenza a chi ha una vita autonoma. Intendiamoci, sono molto contento che ci siano disabili che vivono da soli perché possono essere d'esempio per altri disabili, ma in uno stato democratico è giusto garantire la libertà di scelta per tutti. Deve essere la persona a poter scegliere se vivere da sola oppure no, e, se decide di vivere con la propria famiglia, deve poterlo fare, senza rinunciare alla propria autonomia, a una gestione autonoma e indipendente. Spero che un giorno questa linea di pensiero, che condivido con tanti altri disabili, venga presa seriamente in considerazione.

Mattia Abbate, l'autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. "Questo spazio - dice - è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda". 
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