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Intestino e autismo, un legame sempre più evidente

clinicafornaca.it

Intestino e autismo, quale legame? «Si tratta di specifiche malattie infiammatorie che comportano anche forte dolore e disturbi della motilità», spiega il dottor Federico Balzola: «Eliminare determinati alimenti può subito produrre importanti risultati anche di tipo comportamentale»

Patologie intestinali e autismo: il dottor Federico Balzola, medico specialista in Endoscopia digestiva e Gastroenterologia della Clinica Fornaca, è uno dei responsabili dell’ambulatorio che all’interno del Dipartimento delle Malattie dell’apparato digerente e della nutrizione della Città della salute e della scienza di Torino si occupa dello studio sul trattamento dietetico/farmacologico delle malattie infiammatorie croniche intestinali evidenziate nella sindrome autistica.

Dottor Balzola, la diagnosi della sindrome autistica si incrocia sempre più di frequente con la presenza di malattie infiammatorie croniche intestinali. Qual è il legame tra le due situazioni?

«Negli ultimi quindici anni la letteratura medica ha registrato la prevalenza di sintomi gastrointestinali nel 70 per cento dei pazienti autistici, spesso associati a malattie infiammatorie intestinali. La diagnosi non è facile perché si tratta di pazienti con elevata soglia del dolore, difficoltà di comunicazione verbale ed esordio dei sintomi in fase tanto precoce che per loro risulta difficile registrarli come un’anomalia. La convivenza con tutti questi aspetti impedisce un’espressione chiara della malattia e ci porta talvolta a non comprendere che determinati atteggiamenti verso il cibo e comportamenti aggressivi verso se stessi sono tentativi eseguiti dal paziente per comunicare un disagio che noi non vediamo o tendiamo ad associare a un disordine comportamentale».

 

Come si arriva a diagnosticare un disturbo infiammatorio intestinale a un bambino autistico?

«Compiendo un’indagine intestinale che evidenzi un quadro infiammatorio specifico. Il paziente autistico ha una malattia diversa da quella di Crohn, dalla retticolite ulcerosa o dalla celiachia. E’ un disturbo che si esprime soprattutto sulla parete intestinale più distale e che registra un quadro infiammatorio più profondo, veicolo di forte dolore e disturbi della motilità spesso tradotti in difficoltà nel trangugiare, nel far passare il cibo e talvolta in ruminazione. Un quadro che porta con sé anche stitichezza con forti dolori e conseguenti posizioni antalgiche che una volta venivano letti come “comportamenti autistici” e rappresentano invece risposte al dolore. In questa fase occorre identificare l’infiammazione e procedere con la cura in grado di condurre alla regressione dei sintomi gastrointestinali e al miglioramento di determinate capacità quali il sonno o l’attenzione. Si ottiene perciò un doppio vantaggio: sintomatologico intestinale e comportamentale, in alcuni casi davvero clamoroso perché cambia in modo sostanziale l’atteggiamento del bambino».

Come si ottiene questo importante risultato?

«Spesso questa situazione atipica dell’intestino migliora con la semplice rimozione di alcuni alimenti (come le proteine del latte o del grano) che produce una riduzione dell’assorbimento intestinale e la chiusura delle cosiddette giunzioni strette. E’ una riduzione dell’infiammazione che arriva dopo la diagnosi successiva a esami di sangue e feci, ecografia e, se necessario, esami di endoscopia. La nostra è una medicina che torna al passato perché osserva i sintomi e poi trova la cura; la visita e l’anamnesi hanno un peso fondamentale, superiore a quello degli esami che servono a confermare il sospetto».

Di recente il “Centers for Disease Control and Prevention” ha affermato che negli Stati Uniti un bambino su 88 ha un disturbo dello spettro autistico: un numero davvero molto elevato.

«Si tratta di una patologia dall’incidenza sempre crescente che, oltre all’aspetto clinico, deve farci pensare all’impatto sociale futuro: si tratta di pazienti che non saranno in grado di gestire una vita autonoma e avranno necessità di percorsi creati su misura».

Che cosa favorisce l’insorgere dell’autismo?

«Non se conoscono le ragioni ma la componente immunologica risulta preponderante assieme a quella genetica. Di sicuro viene coinvolto quel processo cruciale che nei primi mesi di vita vede i batteri intestinali (il cosiddetto microbioma) giocare una parte importante nella crescita di un sistema immunitario corretto. Negli ultimi cinquant’anni le nostre condizioni ambientali (alimentari, igieniche, terapeutiche e farmacologiche) sono cambiate in modo drammatico: ci garantiscono una vita più lunga e di maggiore qualità ma stanno intervenendo anche sul sistema immunitario che talvolta non è più in grado né di tollerare quanto passa dall’intestino né di aggredire l’infezione in atto. Il risultato può essere perciò quello di un quadro di infiammazione costante, riflesso in un’alterazione della permeabilità intestinale che attiva un processo immunologico sul versante vascolare non grave ma cronico e in grado di distribuirsi sugli organi distali. Considerando che nei primi tre-quattro mesi di vita il sistema immunitario garantisce anche la sopravvivenza e la crescita del cervello, risulta più facile assistere all’intervento di disturbi di tipo cognitivo che vanno a interessare un organo dall’equilibrio già alterato».

Intestino e autismo: quanto è importante il lavoro di équipe per trovare le giuste risposte?

«C’è bisogno di gastroenterologo, immunologo e neuropsichiatra: i gruppi di ricerca multidisciplinari rappresentano l’unica strada utile a ottenere risultati. La comunicazione è fondamentale in un ambito tanto difficile e che registra anche un dialogo spesso problematico tra medico, paziente e genitori».

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