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L’invisibile quarantena dell’autismo

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La chiusura delle scuole è stato il primo passo verso una lunga clausura, difficile per ognuno di noi, figuriamoci per chi guarda e vive gli eventi del mondo con occhi, colori, gesti diversi. Stiamo parlando dei bambini autistici e delle loro famiglie

di Filippo Baffa

 La chiusura delle scuole è stato il primo passo verso una quarantena che poi, decreto dopo decreto, ha riguardato tutti. Una lunga clausura, difficile per ognuno di noi, figuriamoci per chi guarda e vive gli eventi del mondo con occhi, colori, gesti diversi. Stiamo parlando dei bambini autistici e delle loro famiglie. «Restate a casa» è uno slogan semplice, necessario, ma che ha tenuto nell’ombra tante realtà complesse.

Ora si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel. E pensando a come potrà essere la «fase due», una piccola luce sarebbe il caso fosse accesa anche su chi una sua quarantena la vive quasi come condizione di esistenza: appunto, quelli che la burocrazia definisce «soggetti autistici», che proprio della difficoltà, a volte impossibilità, di relazionarsi con gli altri, con il contesto sociale e le regole che lo sostengono devono confrontarsi quotidianamente assieme alle persone che stanno loro vicino. Che siano adulti, la cui integrazione e dipendenza dai genitori finché ci sono è un tema ancora praticamente assente dal dibattito pubblico. O bambini, che per lo meno hanno l’appoggio della scuola, oltre che di altre terapie e attività che hanno lo scopo proprio di cercare di rendere meno spessa la bolla che divide questi piccoli «alieni» dal resto del mondo. Una delle chiavi che li rassicura è la routine, la prevedibilità nella successione di abitudini che diventano una guida per non perdersi. Tutto questo da un giorno all’altro è scomparso. Niente scuola, dunque niente insegnante di sostegno né educatrice, ma stop anche alle terapie in ambulatorio o domiciliari, pubbliche o private: psicologi, psicomotricità, piscina, musicoterapia. Ci si ritrova soli tra le quattro mura di casa, con tutto il peso sulle spalle dei genitori.

Col massimo impegno, comunque encomiabile, degli operatori che fanno del loro meglio a distanza, anche con l’ausilio della tecnologia. Ma la soluzione non può essere questa: per chi ha difficoltà di attenzione e interazione anche in compresenza diventa impossibile rimanere attenti davanti a uno schermo. Nella fase emergenziale è stato forse inevitabile, ma è difficile pensare che sia utile nelle situazioni marginali, anche se ormai poi tanto marginali non sono più, trattandosi di oltre mezzo milione di persone in Italia secondo l’Angsa (Associazione nazionale genitori soggetti autistici).

Adesso che si immagina una ripartenza graduale, ma con le voci di probabile chiusura prolungata delle classi fino a settembre e forse addirittura oltre per i più piccoli, è normale sentirsi mancare la terra da sotto i piedi. Considerato che sono le stesse Asl ad aver sempre indicato la scuola parte integrante, se non la principale, del percorso terapeutico. Primi segnali almeno di attenzione arrivano, ma sono casi isolati, come la decisione del Comune di Rende (Cosenza) — ma ci sono esempi a Rimini, Brindisi, Bitonto, Aversa — di aprire il parco cittadino due ore al giorno, «a chi soffre di patologie da deficit neuro debilitativi per le quali è consigliabile la fruizione terapeutica di momenti di vita all’aperto».

Una reclusione improvvisa è dura da spiegare a ogni bambino, lo è ancora di più in certi casi. All’inizio può sembrare una vacanza. Poi lo smarrimento diventa incontrollabile. Bussa anche di notte, con l’insonnia, diversa da quella che purtroppo di frequente si presenta, risvegli fatti di lacrime e tremori in preda a chissà quale incubo, non spiegabile da chi non ha le parole per raccontarlo. Da chi soffre di iperattività e difficoltà di controllo e si trova rinchiuso per giornate infinite in cui è sempre in agguato la crisi, di pianto o di rabbia, con la porta di casa che diventa davvero il cancello di una prigione da colpire cercando di fuggire e ritrovare quello che si è perso. Ma poi succede anche che, una volta accertata la possibilità per le persone con disabilità psichica di essere accompagnate fuori a tutela della loro salute (rispettando ovviamente tutte le indicazioni previste dai vari decreti governativi), ci si scontri con le urla di chi insulta barricato nel proprio terrazzo. In un momento di paura è purtroppo fisiologico che anche la frustrazione emerga, ma è difficile spiegarsi quale oscura reazione porti una persona a rimproverare — invece di offrirle aiuto — una mamma in difficoltà perché il suo bambino si è lanciato nella fontana di un giardinetto. O cosa spinga alcuni vicini di casa a far piovere insulti dal terrazzo per qualche atteggiamento fuori dal comune, nonostante la stessa mamma abbia gridato ai quattro venti la condizione «diversa» di suo figlio. Un degrado umano ora esasperato, ma con cui purtroppo bisognava confrontarsi anche prima del coprifuoco. E tutte le famiglie con bambini autistici lo sanno bene .

Nella task force del governo per preparare la «fase 2» sono stati inseriti anche psicologi (Elisabetta Camussi, professoressa dell’università di Milano), neuropsichiatri (Fabrizio Starace, direttore del Dipartimento di salute mentale di Modena) e Giampiero Griffo, presidente dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità: una parola forte su questo tema da parte delle istituzioni in un momento in cui l’attenzione è giustamente canalizzata sulla salute pubblica sarebbe un messaggio straordinario per il futuro. Perché anche inizierà il dopo, ci sarà sempre chi con la sua quarantena invisibile dovrà continuare a fare i conti.

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