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Lettera aperta a Viola

Cara Viola,

ho assistito alla proiezione di “Pulce non c’è” e di getto scrivo ora le sensazioni che il film, dopo la lettura del libro, mi hanno procurato.

Come sai, fortunatamente, non sono un critico cinematografico né uno di quei cosiddetti “grossi personaggi” (magari diventati tali abbastanza misteriosamente) di cui i media riportano - un giorno si e l’altro pure - ogni dichiarazione, anche la più bizzarra e/o banale. Dovrai accontentarti di molto meno, e me ne scuso anticipatamente…

Vivere questo film, ed essere contemporaneamente genitore di un soggetto autistico, produce – per lo meno questo è capitato a me - una struggente, inarrestabile, emozione, che si fa fatica a racchiudere in poche parole e poi a raccontare.

Gaya e Giuseppe Bonito riassumono bene il senso della realtà che ci circonda. Succede nella sequenza finale del film, quando “Giovanna” ci ricorda che  “Pulce”, e con lei le nostre “Pulci”, continuano - nonostante tutto e contro ogni logica - a non esserci, a non esistere. Gli autistici erano e restano, fondamentalmente ” invisibili” a (quasi) tutti.

Da qui una prima domanda: “Perché questo accade?”, “Come impedirlo?”.

Seconda domanda: “Cosa sarebbe successo a “Margherita” se non avesse potuto contare su un certo tipo di genitori?”. In altre parole: se anche la famiglia “Camurati” all’improvviso si scopre fragile e (soprattutto) sola e in balia degli “esperti” di turno, cosa pensare di genitori molto più indifesi e deboli (la gran parte?) che, allora come oggi, sono lasciati allo sbando da chi invece avrebbe il dovere di tutelarli? Chi li difende dalle scorrerie di disinvolti personaggi (giudici compresi) che all’improvviso si impadroniscono del destino dei loro figli? Di quante “Margherita” oggi non conosciamo, o ci rifiutiamo di conoscere, la storia?

Ecco, Viola: queste sono le domande (alcune) che mi sono venute in mente quando il film è finito e istintivamente è scattato un applauso convinto tra gli spettatori in sala. Io credo che l’importanza di un film, così come quella di un libro o di una qualunque altra produzione artistica, si misuri più che con il battage pubblicitario che al massimo garantisce qualche premietto destinato a non lasciare traccia di sé, soprattutto con la capacità di far riflettere, pensare, ragionare, valutare. Trovo che a differenza di prodotti solo mediatici, che popolano mondi ahimè fantastici, il merito principale di Gaya e di “Pulce non c’è” sia proprio quello di rappresentare la realtà; andare oltre l’emozione, alla ricerca di una via che impedisca il ripetersi di situazioni così strazianti, odiose e infamanti.

Superfluo, ma giusto, sottolineare la bravura degli attori (splendido quel papà che ricorda alla saccente psicologa che da otto anni l’unico suo diversivo è fare la spesa, splendido quel silenzio che segue alla domanda “dell’esperta” su quali pregi  egli si riconosca). Splendida la sorella di “Margherita” e la qualità – direi la “verità” - della scenografia. Se proprio dovessi scegliere la scena che mi è piaciuta di più ti stupirei perché sarei l’unico a dirti che è quella in cui “Giovanna” racconta a scuola del ragno: straordinaria!

Credo, per finire, che il libro di Gaja, e la sua traduzione cinematografica, dovrebbero godere di una promozione ben superiore a quella, pur importante, di cui hanno beneficiato finora. Mi viene in mente, in primis, la scuola, perché è lì, nell’educazione al rispetto e alla diversità, e aggiungerei  “alla conoscenza”), che si gioca una partita importante e forse decisiva! Ti auguro, e mi auguro, che questo avvenga presto.

Un abbraccio sincero a te, a Gaja e soprattutto alla dolce “Margherita”. Un caro saluto al papà.

                                                                                                                                                 Gianfranco 

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