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Tutte le carenze del sostegno agli studenti disabili

Pubblico volentieri questo interessante contributo. Non solo per l'autorevolezze di chi lo ha scritto ma perché contiene molti spunti che in premessa avevo a mia volta introdotto nel post "Il bambino autistico «recluso» a scuola. Vietata la visita in Vaticano" (presente in questa stessa sezione), che invito a rileggere.     [G. V.]

2 marzo, fonte Il Gazzettino 

LETTERA AL MINISTRO GIANNINI 

Gentilissima Ministro Giannini, 

da quando sono stata inserita, dalla Varkey Foundation, nella lista dei 50 “migliori” insegnanti al mondo molte sono state le lettere e telefonate di genitori che, vista la mia temporanea “celebrità”, mi chiedono di rappresentarli e di far arrivare a Voi e all’opinione pubblica il loro disagio e il loro dolore. Me lo chiedono come un mio dovere morale.
Sono un’insegnante di sostegno ed è chiaro quindi che sto parlando di genitori di ragazzi con disabilità. Sono ben consapevole che la parola “inclusione” in molte scuole è un involucro vuoto e, da quando mi occupo, presso l’università di Padova, di formazione dei futuri docenti curricolari e di sostegno, posso toccar con mano le anomalie di una scuola che dell’inclusione ne ha fatto, solo a parole, una bandiera di qualità.

Al di là delle poche risorse, quello che fa più male è l’indifferenza, di troppi docenti che considerano lo studente con disabilità “un corpo estraneo” rispetto alla classe, un “soggetto” la cui istruzione spetta al docente di sostegno e all’eventuale operatore sanitario, certamente non a loro. Poi c’è la sufficienza con cui vengono trattati i ragazzi con disabilità ai quali, in alcune realtà, sembra venga fatto un grosso favore “accoglierli” e così i genitori entrano a scuola in punta di piedi, chiedendo il permesso. Si accontentano, di un orario ridotto. Se poi manca il docente di sostegno o l’operatore sono subito pronti a portare via i loro figli o a tenerli a casa perché non vogliono essere di peso a nessuno e che i loro figli facciano da tappezzeria in una scuola che non è in grado, per diverse ragioni, di “accoglierli” dignitosamente. Questo sistema schizofrenico all’italiana trova la sua massima espressione nella figura dell’insegnante di “sostegno”. In origine, con la L.517/77, l’integrazione a favore degli alunni “portatori di handicaps” (art.2) doveva essere attuata attraverso la prestazione di “insegnanti specializzati”. Tale delicato compito, infatti, doveva essere affidato a personale di ruolo con preparazione specifica e formazione quindi superiore rispetto ai colleghi curricolari. Attualmente i bandi Universitari prevedono un anno accademico di studio con un costo per lo studente di circa 3000 euro. Chi può frequentare i corsi, previa dura selezione su base regionale, sono docenti già abilitati nella propria disciplina. Nel corso degli anni, però, si è abbandonata la definizione di “docente specializzato” a favore dell’insignificante “docente di sostegno”, puro caso?
C’è una bella differenza nella pratica e sostanza tra le definizioni “docente specializzato” e “docente di sostegno”. Quest’ultima, in effetti, svuota di significati importanti la professione stessa promuovendo atteggiamenti e pensieri che la sviliscono. Ecco allora l’insegnante di sostegno diventare tale anche per l’organizzazione scolastica nel momento in cui viene tolto dalla classe e dal ragazzo di cui si occupa per fare supplenza altrove. Tolta la parola “specializzato” il gioco è diventato semplice: chiunque poteva insegnare ai ragazzini con disabilità (tanto….), docenti alle prime armi, quelli perdenti posto senza alcuna preparazione. Non occorre rivoluzionare il sistema. Soprattutto bisogna partire dai ragazzi, dai loro bisogni e diritti. Allora chiudete gli occhi immaginate di vederli e per un istante pensate che siano i vostri figli o nipoti, vedrete che la soluzione giusta arriverà.

Daniela Boscolo,
professoressa Specializzata