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La lucida disperazione dei genitori di un ragazzo autistico

Mentre moderni Grandi Pensatori dell'autismo favoleggiano di ipotesi fantastiche, che distorcono completamente la realtà (e ciò avviene persino con la benevole copertura di claque compiacenti), credo che valga la pena leggere questa testimonianza, per capire meglio cosa significhi vivere tutti i giorni l'autismo e interrogarsi sul "dopo di noi".

8 Ottobre, fonte www.west-info.eu

“Fin da piccolo fissava la lavatrice in azione o le ruote del passeggino in movimento”. Comincia da qui il racconto di Vincenzo e Maria, due genitori di mezza età con un figlio autistico. Un ragazzo di 16 anni, alto e forte. Ma fermo all’età cognitiva di 6.

“Non stava mai seduto, aveva tremori, quando lo spogliavi dalla testa si sentiva affogare. La dottoressa che lo aveva in cura diceva che assumeva atteggiamenti bizzarri. Lo vedeva che qualcosa non andava”. Fino a quando non è arrivata la doccia fredda: autismo.

“Una parola che non basta a spiegare le differenze che ci sono tra i bimbi che ne soffrono: c’è chi non parla, chi non ti guarda… lui parla, ma delle sue cose. Ti guarda ma si chiude nel suo mondo. Sono metodici, parlano sempre degli stessi argomenti, indossano sempre gli stessi vestiti, mangiano sempre le stesse cose… sono pesanti. In più – afferma la mamma – sono poco compresi dalle altre persone, perché non hanno un difetto fisico. E così al cinema, al parco giochi, in ogni posto, oltre a gestire il dolore devi anche spiegare il problema invisibile che hanno”.

 

Vincenzo e Maria non si sono scoraggiati. “Lo portiamo a Verona in un centro di ricerca sull’autismo e ci hanno detto di fargli fare tante attività, tenere premuto l’acceleratore, stimolarlo, sennò torna indietro”. Così Lorenzo (nome di fantasia scelto per tutelarne l’anonimato, dato che è minorenne), si divide tra corsi di nuoto, recitazione ed equitazione. “E’ un animale da palcoscenico. Ora preparano Alice nel Paese delle Meraviglie, lui fa lo Stregatto. Le cose improvvise e i cambiamenti lo destabilizzano e diventa nervoso. Bisogna programmare tutto bene, in questo le istruttrici sono bravissime” racconta Vincenzo, che per abituarsi all’autismo del figlio ha iniziato un percorso di mutuo aiuto.

“Mi ci è voluto parecchio tempo per metabolizzare, adesso mi sono abbastanza abituato. Ho capito che è toccato a noi, dobbiamo adattarci al problema o si va fuori di testa. Penso che sia importante un supporto per i genitori. Ho fatto un percorso di gruppo per genitori di bimbi con disabilità diverse. Siamo 12. Ci vediamo 2 ore ogni 15 giorni. La psicologa bravissima che ci segue ci ha fatto fare dei test. Mi ha fatto molto bene, riesco a tirar fuori la rabbia e lo stress”.

Ma c’è un assillo ancora peggiore: quello del “dopo di noi”. “Purtroppo rientriamo nel 70% dei casi in cui gli autistici hanno anche un ritardo cognitivo. Lui è come un bimbo di 5 o 6 anni. Quello che mi ha mandato in crisi è che non ci sono possibilità di poterlo migliorare. Sarà sempre dipendente da noi e quando non ci saremo più, spero il più tardi possibile, cosa succederà?

Vincenzo e Maria, con altri genitori, hanno fondato l‘associazione Semplice…mente. Il loro sogno? Creare un centro di accoglienza diurna e notturna. “Per dare un sollievo alle mamme e ai papà. Perché non puoi più uscire con un amico, con la moglie, andare a mangiare una pizza. O vai te o va lei. Quando hai un caso di un autismo in famiglia hai a pezzi la vita sociale. Certo, va a teatro, ma è un tempo limitato. E’ dura la vita, a volte – confida Vincenzo – ti manca anche l’intimità”.

“Vorremmo un centro che li renda anche indipendenti, ognuno ha le proprie abilità”. Come negli Stati Uniti, dove scuole specializzate allenano l’orecchio assoluto e le altre capacità manuali, di calcolo e memoria che molti autistici possiedono.

“Comunque abbiamo trovato professori, maestri e compagni che ci hanno messo molto impegno anche personale, oltre il loro compito. Lui però ora vuole l’indipendenza come i suoi coetanei. Ma come puoi dargliela se ha l’età cognitiva di 6 anni?” domanda il papà. E così a volte Lorenzo tenta la fuga. “Vorremmo prendergli il braccialettino, ma la Asl non lo passa. Come  associazione ci siamo informati: ci sono 3 o 4 tipi di orologi con gps e costano sui 400 euro. Potremmo prenderli – conclude Maria – e usarli in comodato”. Affrontare il problema e trovare le soluzioni in gruppo: è questa la grande lezione di Vincenzo e Maria.