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Autismo e normalità: lo Stato non rispetta il diritto a una vita indipendente

Antonella M. Larocca - La Stampa

In Italia un  bambino su 77 presenta un disturbo dello spettro autistico. Il Piemonte indica una prevalenza di 1 su 150. L’ANFFAS parla invece di 1 soggetto autistico ogni 100. Un’eterogeneità di dati che evidenzia la difficoltà nell’indicare un numero certo, soprattutto perché spesso i ragazzi con disturbi dello spettro autistico escono dai monitor quando diventano maggiorenni.

Certo è, invece, che nel 2021 sono stati 191 i ragazzi minorenni con autismo che si sono rivolti alla Neuropsichiatria Infantile dell’Asl di Asti. Alcuni di loro sono seguiti nei loro percorsi di vita dall’Associazione Missione Autismo di Asti, fondata nel 2009 da Paola Bambaci che da allora la presiede. È mamma di Michele, autistico, che a settembre compirà ventuno anni.

 

Perché è nata Ama?

«Perché questi bambini hanno bisogno di interventi specializzati che li aiutino a comunicare e ad acquisire abilità che gli altri bambini apprendono naturalmente per imitazione e quando diventano ragazzi hanno bisogno di un progetto che li accompagni tutta la vita per acquistare autonomia ed inserirsi nella società».

Quanti ragazzi seguite?

«Sono 25, tra i 3 e 30 anni».

Cosa sono i progetti di vita indipendente?

«Progetti costruiti sulla persona. Si parte dall’idea che ognuno di noi, anche non disabile, ha un progetto di vita che si costruisce, che tutti noi abbiamo progetti e idee per i nostri figli su cui strutturiamo, anche inconsciamente, un progetto. Le persone con disabilità hanno ancor più bisogno di questo progetto, perché anche loro diventano grandi e devono poter vivere con pari diritti».

La Convenzione Onu va in questa direzione.

«Si, ha cambiato l’ottica, perché è stata scritta anche da persone disabili».

Cosa dice?

«Che le persone disabili devono essere protagoniste dei progetti di vita, quindi devono essere loro a costruirseli».

Sono passati tredici anni dalla Convenzione. Com’è la situazione?

«Complicata. I progetti dovrebbero essere costruiti dalla persona, ma di fatto vengono gestiti dall’Asl e dal Comune che decidono cosa quella persona può fare e hanno costruito servizi che non rispettano quanto stabilito dalla Convenzione».

Perché?

«L’Asl ha un’ottica medica, quindi nonostante l’ICF, cioè la Classificazione Internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute, abbia un’ottica moderna e rispettosa dell’individuo, l’Asl alla fine fa delle valutazioni che definiscono se una persona è abile o meno a fare qualcosa. Ma abilità che non verrebbero mai valutate in una persona non disabile. Banalmente la capacità o meno di allacciarsi le scarpe, che può essere superata usando scarpe senza lacci. E questo mentre l’Icf dice invece che l’abilità e la disabilità sono il frutto di un’interazione tra l’aspetto fisico e l’ambiente, che dovrebbe abbattere la barriera e avvicinarti al raggiungimento di una condizione di uguaglianza, per il principio delle pari opportunità. Ma i servizi, lo Stato sono settati su un’ottica diversa».

Le difficoltà maggiori?

«Quando i ragazzi finiscono la scuola. Perché dopo la scuola le persone con disabilità vanno in luoghi a parte. Nel centro diurno nella migliore delle ipotesi o, nel caso in cui le famiglie non riescano a seguirli, in comunità. Questo, oltre ad avere costi sociali importanti.

 

https://www.lastampa.it/asti/2022/03/10/news/autismo_e_normalita_lo_stato_non_rispetta_il_diritto_a_una_vita_indipendente-2870940/