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Prima e dopo il 2 Aprile

 Gianfranco Vitale*
 
Nel rispetto che si deve a chi legittimamente ha un'opinione diversa, ammetto di essere ormai tra i pochi a non riconoscere più un significato "speciale" alla ricorrenza del 2 Aprile. In particolare, lo confesso, non ne apprezzo l'enfasi e la crescente connotazione simbolica, che trovo anzi tanto più inadeguate e stridenti se messe in relazione alla drammatica realtà di chi, direttamente o indirettamente, vive l'autismo.
Penso che non sia la retorica ridondante di una giornata a cambiare il senso degli altri 364 giorni dell'anno, segnati, come ben sappiamo, dall'isolamento e dall'abbandono, nostro e dei nostri figli. La realtà che viviamo poco ha in comune con la "festa" e la "celebrazione".
Mentre leggo che col 2 Aprile si rinnova il rito di immancabili articoli e interviste autopromozionali, quello di irrinunciabili vetrine editoriali, di luccicanti rassegne cinematografiche, di "zone blu" eccetera, mi si consenta di ricordare che per il secondo anno consecutivo tante donne e uomini autistici "festeggeranno" questa data segregati tra le mura di RSD e RSA, lontani dai loro familiari e dai loro affetti: trovo vergognoso che quasi nessuno, in mezzo a tanto clamore, denunci questa aberrante discriminazione.  
Mi sfugge, poi, come una giornata che si vorrebbe dedicata alla consapevolezza dell'autismo, possa essere anche condivisa con quelle stesse istituzioni che poco o nulla mostrano di consapevole nei confronti dei nostri cari nei restanti 364 giorni.
Confesso che anni fa, del 2 Aprile, avevo un'opinione diversa: Gabriele (mio figlio) ed io, dietro lo striscione di Angsa Piemonte, in piazza ci siamo stati. Eccome se ci siamo stati...  
Ho capito solo più tardi, vivendolo sulla mia pelle e soprattutto misurando negli anni la sofferenza di Gabriele, che questa "cosa" sarebbe servita a ben poco se non si fosse accompagnata a tanto altro. Non credo di essermi sbagliato: al netto della discutibile difesa d'ufficio che per spirito di appartenenza si pensa di dovere alla propria associazione (come se questo fosse il problema...) la verità è che le condizioni dei nostri figli non solo non sono significativamente migliorate ma l'implacabile scorrere del tempo, che certo non è un alleato dei nostri cari né di noi genitori, le ha semmai aggravate.
Sono consapevole che le grandi associazioni non si riconosceranno in questo crudo verdetto ma a me pare che le famiglie, la gran parte di loro per lo meno, continuano a soffrire in modo drammatico per l'assenza di servizi e interventi appropriati, per la carenza di Centri multidisciplinari sui territori, per la scarsità di risorse e investimenti nella ricerca... Per la netta prevalenza, nell'approccio all'autismo, del deleterio e anacronistico "modello di cura" psichiatrico... Per l'insufficiente numero di comunità e strutture dedicate... Per il vergognoso deficit di politiche mirate a favore degli autistici adulti... Per tanto altro... O non è così? O bastano alcune sporadiche buone prassi per smentire il dato generale?
Ma allora: perché non trasformare il 2 Aprile in un'occasione di protesta generale (e di proposta) invece di continuare a "lisciare il pelo" al ministro di turno?
Trovo stucchevole la mancanza di autocritica. Ancor peggio l'abitudine di scaricare sugli altri (persino quando "gli altri" sono la classe politica che nello specifico dell'autismo si caratterizza solo per la sua arroganza e  incompetenza) una lunga sequenza di errori commessi nel corso degli anni, per impedire i quali, in futuro, il dibattito dovrà necessariamente non cristallizzarsi, aprirsi al confronto, favorire la partecipazione, perché solo questo potrà innescare processi di cambiamento reali e virtuosi.    
Per quanto riguarda le famiglie penso che limitarsi a criticare le associazioni sia fin troppo comodo. Serve a niente, è eticamente sbagliato. Non bisogna restare alla finestra, né delegare. Quello che si deve fare - mettendoci la faccia - è lottare per diventare protagonisti e protagoniste in prima persona.
Ecco perché sarebbe quanto mai importante che il 2 Aprile non fosse la vetrina mediatica in cui rischia di trasformarsi anche quest'anno, a beneficio dei soliti noti, ma diventasse il momento più alto di una lotta di  respiro ben più ampio, capace di coniugare e fondere la sacrosanta rivendicazione di diritti primari che ci sono dovuti (e che per niente al mondo vanno elemosinati), con il rispetto della dignità dei nostri figli, che non possono impunemente continuare ad essere marginalizzati e discriminati.
Resto perplesso circa l'utilità di lettere, appelli, petizioni, pur sacrosante, perché temo che più che raggiungere le alte cariche dello Stato prendano la direzione dei loro cestini, diventando carta straccia...
Penso, invece, che sia quanto mai urgente porsi l'obiettivo di una mobilitazione generale. Non capisco perché anche in queste ore i lavoratori di Amazon, di Alitalia, i rider, i No DAD eccetera, scendono in piazza per rivendicare giustamente le loro ragioni e lo stesso obiettivo non se lo pongono associazioni che dicono, bontà loro, di essere rappresentative di centinaia di migliaia di caregiver sempre più provati e soli.
Il fatalismo, la rassegnazione, la sottomissione portano solo alla sconfitta. Dobbiamo reagire prima che sia troppo tardi.
Se non assumiamo consapevolezza del nostro ruolo possiamo essere certi che passata l'ubriacatura del 2 Aprile i problemi si ripresenteranno il giorno dopo in tutta la loro gravità, drammaticità, complessità. Senza un cambio di passo ne saremo corresponsabili.
Lottiamo per il cambiamento. Nel rispetto reciproco e nella chiarezza e condivisione dei contenuti e delle strategie, saremo più forti.     
  
* Dedico questo articolo alla memoria di Sonia Zen

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