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Intervista a LUCIO MODERATO

Pubblico l'intervista integrale che Lucio Moderato ha concesso al quotidiano La Stampa, all'interno dell'inserto tuttoSCIENZE salute, il 16 Luglio.

 

 

 

a cura di Monica Mazzotto

Andrea deve far suonare, con le nocche, ogni oggetto che incontra, Paolo non parla e, quando cammina, vuole svuotare e riempire i bidoni della spazzatura. Davide urla senza apparente motivo e si nasconde sotto il letto. Poi, però, c’è Francesco che parla e riesce a spiegarti cosa vede e come funzionano i suoi sensi con un video di sua realizzazione. 

Ragazzi diversi, che in comune hanno l’autismo, un disturbo poco conosciuto, ma sempre più diffuso. «Negli Anni 70 c’era un autistico ogni 100 mila abitanti, oggi un bambino su 100 è autistico. E ci sono picchi come la Corea, dove si arriva a uno su 80 abitanti». A spiegarlo è Lucio Moderato, direttore dei servizi territoriali della Fondazione Istituto Sacra Famiglia, docente all’Università Cattolica di Milano e direttore scientifico dell’associazione «Autismo e Società»: è uno dei massimi esperti italiani, autore di un centinaio di pubblicazioni e padre di «Superability», un metodo terapeutico per chi soffre di disabilità intellettive. 

 

Professore, da 30 anni lavora in questo campo e ha incontrato migliaia di soggetti autistici: pensa che questi dati allarmanti siano dovuti anche alla maggiore accuratezza delle diagnosi?  

«Le diagnosi sono più precise e tante forme di autismo, un tempo, non venivano riconosciute o venivano scambiate per altri disturbi, come la schizofrenia. Ma l’aumento dei casi c’è ed è reale».  

 

Da uno studio sul «Journal of the American Medical Association» emerge che il rischio di soffrire della sindrome sia al 50% genetico e al 50% ambientale. È così?  

«E’ vero, esiste un’interazione tra fattori genetici e fattori ambientali, ma l’interazione è particolare. Il rapporto tra i primi e i secondi è simile a quello tra una bomba e una spoletta. Se c’è la bomba e non c’è la spoletta, la bomba non esplode, e viceversa. Deve esserci l’occasione e la predisposizione. Ma sostenere che, in media, il rapporto sia di 50 e 50 è semplicistico, perché, essendo una media, vuol dire che in tanti casi per il 70% sarà genetico e per il 30% ambientale o viceversa». 

 

Solo il 60% degli italiani pensa di sapere che cos’è l’autismo e, di questo, il 70% crede che gli autistici possiedano forme di genialità. Che cos’è l’autismo?  

«Non è una malattia, ma un disturbo generalizzato dello sviluppo. L’elevata frequenza di disabilità intellettiva e di epilessia avvalora l’ipotesi che l’autismo derivi da un’anomalia dello sviluppo cerebrale che ha avuto un altro tipo di evoluzione. Infatti, non esiste un solo tipo di autismo, ma infiniti, e oggi si parla di sindrome dello spettro autistico. Immaginate due linee parallele: la prima rappresenta l’intensità dell’autismo e l’altra l’intelligenza. Provate a congiungere due degli infiniti punti di queste linee: avrete infinite combinazioni. Ci può essere il bambino con un alto livello di autismo e alti livelli di intelligenza o un basso livello di autismo e un basso livello di intelligenza. E tra questi casi limite ci sono infinite combinazioni».  

 

Perché questa variabilità?  

«Perché allo stato della ricerca entrano in gioco almeno sette geni che si incrociano e che interagiscono con l’ambiente. Questi geni hanno una diversa influenza su diverse aree di sviluppo: alcuni sugli aspetti sensoriali, altri su quelli intestinali, altri su quelli neurologici. Per far capire quanto può essere vasta la combinazione dei sette geni si può pensare alle note: quanti brani sono stati composti con sette note? Infiniti. E questo è il problema dell’autismo. Anche se li racchiudiamo sotto la stessa etichetta, non c’è un caso uguale a un altro. Sono tutti complessi e atipici. Questa è la sfida e nel mio lavoro devo sempre cercare la strada “su misura”». 

Ma gli autistici possiedono anche dei punti in comune?  

«Sì. Hanno un pensiero che funziona prevalentemente per immagini e processano le immagini in modo seriale, una alla volta. Immaginate la nostra mente come una botte aperta e le informazioni come l’acqua. Come si riempie una botte? Con facilità, visto che il foro di ingresso è ampio. Non dobbiamo prendere la mira. La mente degli autistici, invece, è come una damigiana, con il foro d’entrata piccolo. La damigiana la puoi riempire solo se stai attento. Se butti secchiate, la maggior parte dell’acqua andrà fuori. Questo è il sistema di apprendimento dell’autistico. In più i neuroni non sono collegati da opportuni legami sinaptici. Per questo non creano circuiti funzionali utili. In pratica non generano categorie, ma connessioni singole, come se ogni oggetto fosse a sé stante». 

 

Per esempio?  

«Il nome “mela” viene associato a una singola mela, ogni volta ex novo. Non si crea la categoria “mela” grazie alla quale ogni mela, indipendentemente dalla forma o colore, viene riconosciuta». 

 

Se manca la categorizzazione, è anche un problema ripescare dalla memoria le informazioni assimilate?  

«Sì. Mancando le categorie e i collegamenti tra neuroni, è come se entrassimo in una biblioteca e per cercare un libro fossimo costretti a guardare un volume alla volta. A complicare i processi di apprendimento, poi, si deve aggiungere l’ipersensorialità». 

 

Cosa intende?  

«Le informazioni utili per l’apprendimento arrivano al cervello grazie ai sensi. Gli autistici li hanno alterati, ma non come si credeva un tempo, quando li si considerava come individui chiusi in se stessi. Al contrario sono “troppo” aperti. Non sentono poco, ma troppo. Possiedono una sensibilità incredibile alla luce e ai rumori. Anche la percezione cutanea è elevata: noi non sentiamo l’aria che si muove, loro sì e sentono spesso dei pruriti insopportabili. Il mondo è troppo intenso per loro. Pensate di avere sempre un faro piantato negli occhi, di non riuscire a stare seduti e di sentire un rumore costante. E ora provate a leggere un libro». 

 

Un lavoro all’Università del Connecticut sostiene che ci siano comunque possibilità di guarigione: lei cosa pensa?  

«Purtroppo la cattiva informazione si occupa spesso di autismo. Credo che non ci sia nulla di più dannoso delle illusioni. I genitori spesso si affidano ad informazioni ottenute su Internet e diventano vittime di abili illusionisti. Purtroppo, al momento, non c’è possibilità di guarire, ma c’è tanto che può essere fatto. In molti casi possiamo rendere questi bambini in grado di affrontare le sfide della vita. Ci vuole tecnica e soprattutto pazienza». 

 

In che modo?  

«I bimbi autistici sono difficili: piangono e non capisci cos’anno, ridono e non sai perché. A volte ridono quando sono tristi e piangono quando sono allegri. Fanno cose “strane”. Ma questi comportamenti “hanno un senso”. Siamo noi che dobbiamo capire ciò che non va».  

 

Quali gli interventi più opportuni?  

«Per esempio è importante capire che le terapie vanno fatte a casa, anche se pochi lo fanno. E’ inutile che il bambino faccia psicomotricità e logopedia e poi non sappia lavarsi i capelli. Dobbiamo fare ciò che in termini tecnici si chiama “Net”, “Natural environment treatment”: trattamenti in ambienti di vita naturali, in sinergia con insegnanti, educatori, terapisti e genitori. Dobbiamo cercare di insegnare loro tutte le attività quotidiane che permettano di avere una vita sociale accettabile». 

 

Che cosa ha imparato dalle persone con autismo?  

«Sono i miei docenti! In un mondo troppo veloce ci dicono che è con la lentezza e con la dedizione che si impara ed è con il sacrificio che si diventa grandi». 

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