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AMICI

Ringrazio e pubblico volentieri un breve racconto scritto da Adelaide, grande amica e compagna di mio figlio Gabriele

 

PERCHE’ UN RACCONTO?

Mi sembra che tecnicamente il racconto stia all’articolo come la pittura espressionista a quella realista. Il pittore tedesco Nolde, in una sua riflessione programmatica, dice infatti che riprodurre fedelmente la natura non consente di esprimere se stessi, mentre “aggiungere alla natura il proprio spirito trasforma l’opera in arte”.

Lungi dall’avere velleità artistiche, mi è parso che questo concetto potesse avere un significato più ampio e riguardare anche l’opportunità di inserire un racconto in un contesto relativo alla disabilità, dalla connotazione fortemente sociale e giuridica com’è questo sito.  

Infatti un racconto, con rapide pennellate e colori essenziali, può andare oltre la descrizione di una condizione o di un’esperienza vissuta e mostrare i sentimenti, gli stati d’animo, i coinvolgimenti di chi si trova a contatto con quella forma di disabilità  dai contorni irregolari e multiformi che è l’autismo.

E’ in quest’ottica che ho sentito il bisogno di fare una piccola riflessione sulla mia attività di volontaria che si rivela a tratti impegnativa, non tanto per il tempo dedicato o lo sforzo compiuto, quanto per il ritrovarmi a contatto con i problemi esistenziali, vissuti da ragazzi che sono in una situazione di  svantaggio, all’interno di una comunità residenziale, e si trovano a vivere le stesse tappe della vita dei loro coetanei normodotati.

E ho sentito il bisogno di condividerla proprio con chi si misura ogni giorno con questi temi: i lettori di questo sito.

 AMICI

E’ un pomeriggio di primavera, mentre si spengono le ultime note di un brano di Antonacci percorro il viale di gelsi che mi porta verso la cascina, isolata in mezzo agli ultimi prati della città. Il cd salta sulle buche che costellano quel tratto di strada. Lo tolgo e lo metto nella borsa insieme ad altri che porto su. Entro, salutata festosamente dai cagnolini che sbucano dagli ulivi e dagli alberi da frutto del cortile e da qualche educatore.

L’attività di yoga-rilassamento che si svolge nella piccola palestra inizia, tra il vociare confuso di Paolo, Giacomo e Giovanni che, in rapida successione, mi chiedono la musica da discoteca, mi raccontano le ultime imprese, mi regalano disegni e mi pongono reiterate domande a raffica. Quando ognuno si è tolto le scarpe e ha trovato posto sulla stuoina, la musica è ancora sovrastata dalle loro voci che contano gli esercizi di allungamento e respirazione in modo del tutto personale: otto è il numero preferito da Giacomo che lo ripete ridendo, consapevole di sbagliare.

Eseguendo lo stretching, ognuno di loro esprime pensieri e preoccupazioni, apparentemente, casuali: Giovanni pone interrogativi inquietanti in ambito alimentare: “E’ vero che l’aranciata gonfia la pancia? Anche la coca-cola? Anche la sprite? Meglio le caramelle. Ma è vero che rovinano i denti? E perché rovinano i denti? E perché i tabaccai le vendono?”

Mentre cerco di inserirmi con qualche risposta rassicurante che interrompa quel  vortice dubbioso, siamo interrotti da Giacomo che sospende il suo esercizio, si fa improvvisamente serio e mi  guarda fisso negli occhi: “Mio padre è morto. E’ andato in cielo, con l’auto blu. Voglio andarci anch’io, ma non ho la patente.”

Gli dico che lo sapevo e che mi dispiace molto e vorrei aggiungere qualcos’altro, dal momento che è la prima volta che lo vedo affrontare l’argomento, dopo molti mesi dall’accaduto, ma siamo ancora una volta interrotti da Paolo che fa roteare le braccia, in un gesto di impazienza e, vista la mia espressione preoccupata, mi dice di sorridere perché mi vuole bene.

E’ arrivato il momento di fare gli esercizi di rilassamento a terra. Con la promessa di rimettere dopo la musica da discoteca, inserisco un cd di Schubert e pian piano la concitazione lascia il posto alla calma e al silenzio che riusciamo a mantenere per una quindicina di minuti.

Per gli esercizi in piedi con il bastone torna la disco music. Le braccia e le gambe si muovono quasi in una sorta di ballo e Giacomo mima i movimenti di chi suona una chitarra elettrica.

Si sente bussare alla porta e sulla soglia compare Samuele, con espressione perplessa per la presenza dei compagni in un contesto dove solitamente opera da solo. Gli spiego che sto finendo con loro e lo invito ad ascoltare insieme un cd di musica italiana, lo fa volentieri e, quando hanno finito, aiuta gli altri a prepararsi. Gli propongo un piccolo massaggio shiatsu e un rilassamento sulle note di Schubert. Disteso chiude gli occhi e mi racconta la sua giornata, con tutte le sue difficoltà di relazione, con frasi incerte e parole reiterate affronta quello che è il nocciolo del problema per lui e per gli altri: la relazione.

Loro, i miei amici Samuele, Giacomo, Paolo e Giovanni, sono autistici.  

                                                                                                                                                        ADELAIDE 

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